Gesù scese dal cielo in terra sapendo che sarebbe stato ucciso. Venuto sulla terra, fin da bambino dodicenne dimostrò di sapere il destino della sua vita: doveva occuparsi delle cose del Padre celeste, che comportava due compiti: farlo conoscere e amare, e compiere la sua volontà, cioè sacrificarsi per la salvezza del mondo. Dopo aver insegnato agli uomini con l’esempio di una vita laboriosa e religiosa – infatti lavorava e frequentava la sinagoga – cominciò a girare per tutta la Palestina insegnando che Dio è tanto buono da aver mandato suo figlio sulla terra per salvare gli uomini, bevendo il calice della passione e morte. “Non berrò il calice che il Padre mi ha dato?”, disse un giorno. Perciò, Gesù visse tutta la sua vita con la spada di Damocle sul collo. E che Egli vide sempre quella spada di Damocle sul suo collo per tutta la vita, lo dimostra il fatto che ripeteva spesso ai suoi discepoli che sarebbe stato ucciso, aggiungendo però sempre che sarebbe risorto il terzo giorno. Sembra che non abbia mai parlato della sua morte senza ricordare che sarebbe risorto il terzo giorno. Questo potrebbe indurci a pensare che Gesù fosse sempre triste, nero e pessimista. Ma dal vangelo risulta il contrario, perché parlava sempre di pace, di gioia, di coraggio e di forza: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me»” (Gv 14, 27-31); “Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando” (Gv 15, 11-14). E’ una bella lezione per noi che temiamo la morte, perché ne vediamo solo l’aspetto negativo, e non quello positivo, come passaggio alla vera vita, alla vita con Dio. Siamo abituati a pensare solo ai mali e alla morte senza la risurrezione e il premio eterno. Infatti san Pietro, sentendo Gesù che parlava della sua morte, lo riprese, e si meritò il rimprovero di Gesù: “Va via, satana, perché tu la pensi come gli uomini, non come Dio”. La vera vita dell’uomo è quella futura, a cui l’uomo pensa poco, e perciò cerca di costruirsi una dimora comoda sulla terra, illudendosi che sia eterna, ma si accorge che, dopo essersi costruita una casa d’oro, grande, spaziosa, proprio allora sente la voce di Dio che gli dice: “Sciocco, questa notte morirai”. Anche gli apostoli, prima di imparare bene tutta la lezione del vangelo, erano come gli altri uomini, desiderosi di menare una vita godereccia sulla terra, una vita da dominatori anziché da servi, fino al punto di gareggiare tra loro a chi fosse il più importante. Ci vollero tre anni per sgrossare la mentalità rozza e terrena dei suoi discepoli e indurli a pensare non come gli uomini ma secondo Dio. Dio vuole la nostra felicità vera, che nasce non dalla sopraffazione ma dalla sottomissione, non dal dominio ma dal servizio, in una parola non dall’odio ma dall’amore. Stranamente Gesù proclamò beati coloro che soffrono, i poveri, gli umili, coloro che si fanno bambini. Gesù ascoltò le chiacchiere dei suoi discepoli mentre andavano verso Cafarnao. Avendo sentito dire dalla bocca di Gesù che stavano per ucciderlo, discutevano su chi sarebbe stato il suo successore. Ma si vergognavano di quelle chiacchiere! E infatti Gesù insegnò loro. “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”. E preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me”. La vera vita, quella cristiana, sta nell’impegno e nello sforzo di essere come i bambini, di entrare per la porta stretta, secondo gli insegnamenti di Gesù, che è esattamente l’opposto delle massime di satana. Noi saremo come Dio se, sulla terra, avremo servito, poiché “chi si umilia sarà esaltato”. San Giacomo, nella seconda lettura, afferma che la sapienza di Dio rende gli uomini pacifici, miti, arrendevoli, senza quell’invidia e gelosia che generano contese tra noi, senza le passioni che generano guerre tra noi, senza quei desideri smodati che ci rendono frenetici e aggressivi fino a uccidere i fratelli. Chiediamo al Signore la cose buone con umiltà, e rinnoveremo la nostra vita e i nostri atteggiamenti.