1. IL BATTESIMO

    Il santo Battesimo è il fondamento di tutta la vita cristiana, e la porta che apre l’accesso agli altri sacramenti. Mediante il Battesimo siamo liberati dal peccato e rigenerati come figli di Dio, diventiamo membra di Cristo; siamo incorporati alla Chiesa e resi partecipi della sua missione. Il Battesimo può definirsi il sacramento della rigenerazione cristiana mediante l’acqua e la Parola di Dio.

    È con la sua pasqua che Cristo ha aperto a tutti gli uomini le fonti del Battesimo. Egli, infatti, aveva già parlato della passione, che avrebbe subìto a Gerusalemme, come di un battesimo con il quale doveva essere battezzato. Il sangue e l’acqua sgorgati dal fianco trafitto di Gesù crocifisso sono segni del Battesimo e dell’Eucaristia, sacramenti della vita nuova: da quel momento è possibile nascere «dall’acqua e dallo Spirito» per entrare nel regno dei cieli (Gv 3,5).

     

    Il Battesimo dei bambini

    Poiché nascono con una natura umana decaduta e contaminata dal peccato originale, anche i bambini hanno bisogno della nuova nascita nel Battesimo per essere liberati dal potere delle tenebre e trasferiti nel regno della libertà dei figli di Dio, alla quale tutti gli uomini sono chiamati. La pura gratuità della grazia della salvezza si manifesta in modo tutto particolare nel Battesimo dei bambini. La Chiesa e i genitori priverebbero quindi il bambino della grazia inestimabile di diventare figlio di Dio se non gli conferissero il Battesimo poco dopo la nascita.

    I genitori cristiani riconosceranno che questa pratica corrisponde pure al loro ruolo di alimentare la vita che Dio ha loro affidato.

    In tutti i battezzati, bambini o adulti, la fede deve crescere dopo il Battesimo. Per questo ogni anno, nella Veglia pasquale, la Chiesa celebra la rinnovazione delle promesse battesimali. La preparazione al Battesimo conduce soltanto alla soglia della vita nuova. Il Battesimo è la sorgente della vita nuova in Cristo, dalla quale scorre l’intera vita cristiana.

    Perché la grazia battesimale possa svilupparsi è importante l’aiuto dei genitori. Questo è pure il ruolo del padrino o della madrina, che devono essere credenti solidi, capaci e pronti a sostenere nel cammino della vita cristiana il neo-battezzato, bambino o adulto. Il loro compito è una vera funzione ecclesiale. L’intera comunità ecclesiale ha una parte di responsabilità nello sviluppo e nella conservazione della grazia ricevuta nel Battesimo.

     

    La necessità del Battesimo

    Il Signore stesso afferma che il Battesimo è necessario per la salvezza. Per questo ha comandato ai suoi discepoli di annunziare il Vangelo e di battezzare tutte le nazioni. Il Battesimo è necessario alla salvezza per coloro ai quali è stato annunziato il Vangelo e che hanno avuto la possibilità di chiedere questo sacramento. La Chiesa non conosce altro mezzo all’infuori del Battesimo per assicurare l’ingresso nella beatitudine eterna; perciò si guarda dal trascurare la missione ricevuta dal Signore di far rinascere «dall’acqua e dallo Spirito» tutti coloro che possono essere battezzati.

     

    La grazia del Battesimo

    Per mezzo del Battesimo sono rimessi tutti i peccati, il peccato originale e tutti i peccati personali, come pure tutte le pene del peccato. In coloro che sono stati rigenerati, infatti, non rimane nulla che impedisca loro di entrare nel regno di Dio, né il peccato di Adamo, né il peccato personale, né le conseguenze del peccato, di cui la più grave è la separazione da Dio.

    Rimangono tuttavia nel battezzato alcune conseguenze temporali del peccato, quali le sofferenze, la malattia, la morte, o le fragilità personali, come le debolezze del carattere e anche una inclinazione al peccato che la Tradizione chiama la concupiscenza, l’incentivo del peccato, la tentazione, lasciata per mettere alla prova la solidità della propria fede, vincendola.

    Una nuova creatura

    Il Battesimo non soltanto purifica da tutti i peccati, ma rende nuova creatura, un figlio adottivo di Dio che è divenuto «partecipe della natura divina» (2 Pt 1,4), membro di Cristo e tempio dello Spirito Santo.

    Corpo di Cristo

    Il Battesimo ci fa membra del corpo di Cristo. «Siamo membra gli uni degli altri» (Ef 4,25). Il Battesimo incorpora alla Chiesa. Dai fonti battesimali nasce l’unico popolo di Dio della Nuova Alleanza che supera tutti i limiti naturali o umani delle nazioni, delle culture, delle razze e dei sessi: «In realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo» (1 Cor 12,13).

    Un sigillo spirituale indelebile

    Incorporato a Cristo per mezzo del Battesimo, il battezzato viene reso simile a Cristo. Il Battesimo segna il cristiano con un sigillo spirituale indelebile («carattere») della sua appartenenza a Cristo, che nessun peccato può cancellare. Per questo, il Battesimo si riceve una volta per sempre.

    Il carattere rende i battezzati capaci di servire Dio partecipando alla liturgia della Chiesa e testimoniando la fede con una vita santa piena di concrete opere di carità.

    Il Battesimo è anche un pegno per la vita eterna. Il fedele che lo avrà custodito fino alla fine, ossia che sarà rimasto fedele alle esigenze del proprio Battesimo, potrà morire con la fede del proprio Battesimo, nell’attesa della beata visione di Dio in Paradiso e nella speranza della risurrezione.

Con il sacramento della Cresima o Confermazione i battezzati vengono vincolati più perfettamente alla Chiesa, sono arricchiti di una speciale forza dallo Spirito Santo, e in questo modo sono più strettamente obbligati a diffondere e a difendere con la parola e con l’opera la fede come veri testimoni di Cristo.

L’effetto del sacramento è la speciale effusione dello Spirito Santo, come già fu concessa agli Apostoli il giorno di Pentecoste.

La Confermazione apporta una crescita e un approfondimento della grazia battesimale:

ci fa sentire più profondamente il nostro essere figli di Dio Padre

ci unisce più saldamente a Cristo;

aumenta in noi i doni dello Spirito Santo;

rende più perfetto il nostro legame con la Chiesa;

ci accorda una speciale forza dello Spirito Santo per diffondere e difendere con la parola e con l’azione la fede, come veri testimoni di Cristo, per confessare coraggiosamente il nome di Cristo e per non vergognarci mai della sua croce.

Come il Battesimo, di cui costituisce il compimento, la Confermazione è conferita una sola volta, perché anch’essa imprime nell’anima un marchio spirituale indelebile, il «carattere» o sigillo della Spirito di Cristo: con esso il cresimato riceve il potere di professare pubblicamente la fede cristiana, quasi per un incarico ufficiale.

Dal momento che Battesimo, Confermazione ed Eucaristia costituiscono un tutto unitario, “i sacramenti dell’iniziazione cristiana”, cioè della completa consacrazione a Cristo, ne deriva che i fedeli sono obbligati a ricevere tempestivamente questo sacramento. Senza la Confermazione e l’Eucaristia, infatti, il sacramento del Battesimo è certamente valido ed efficace, ma la consacrazione a Cristo rimane incompiuta.

Se talvolta si parla della Confermazione come del «sacramento della maturità cristiana», non si deve confondere l’età adulta della fede con l’età adulta della crescita naturale: l’età fisica non condiziona l’anima. Anche nell’adolescenza l’uomo può ottenere la perfezione dell’età spirituale, che non si calcola dal numero degli anni.

La preparazione alla Confermazione deve mirare a condurre il cristiano verso una più intima unione con Cristo, verso una familiarità più viva con lo Spirito Santo, la sua azione, i suoi doni e le sue intuizioni. La catechesi della Confermazione risveglia il senso dell’appartenenza alla Chiesa di Gesù Cristo, sia alla Chiesa universale che alla comunità parrocchiale.

Per ricevere la Confermazione si deve essere in stato di grazia, per questo è opportuno accostarsi al sacramento della Penitenza prima di ricevere il dono dello Spirito Santo. Una preghiera più intensa deve preparare a ricevere con docilità e disponibilità la sua forza e le sue grazie.

Per la Confermazione, come per il Battesimo, è conveniente che i candidati cerchino l’aiuto spirituale di un padrino o di una madrina. È opportuno che sia la stessa persona scelta per il Battesimo, per sottolineare meglio l’unità dei due sacramenti.

La santa Eucaristia completa l’iniziazione cristiana, ovvero la piena e completa consacrazione a Gesù e alla Trinità. Coloro che sono stati elevati alla dignità del sacerdozio regale per mezzo del Battesimo e sono stati conformati più profondamente a Cristo mediante la Confermazione, attraverso l’Eucaristia partecipano con tutta la comunità allo stesso sacrificio del Signore.

Tutti i sacramenti sono strettamente uniti alla Eucaristia e ad essa sono indirizzati. Infatti, nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua.

In essa abbiamo il culmine sia dell’azione con cui Dio santifica il mondo in Cristo, sia del culto che gli uomini rendono a Cristo e per lui al Padre nello Spirito Santo.

Infine, mediante la celebrazione eucaristica, ci uniamo già alla liturgia del cielo e anticipiamo la vita eterna, quando Dio sarà «tutto in tutti» (1 Cor 15,28).

 

Al centro della celebrazione dell’Eucaristia si trovano il pane e il vino i quali, per le parole di Cristo e per l’invocazione dello Spirito Santo, diventano il Corpo e il Sangue di Cristo. Fedele al comando del Signore, la Chiesa continua a fare ciò che egli ha fatto la vigilia della sua passione: «Prese il pane…», «Prese il calice del vino…». Diventando misteriosamente il Corpo e il Sangue di Cristo, i segni del pane e del vino continuano a significare anche la bontà della creazione.

L’istituzione dell’Eucaristia

Il Signore, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, mentre cena con gli Apostoli, lavò loro i piedi e diede loro il comandamento dell’amore fraterno e reciproco. Per lasciare loro un pegno di questo amore, per non allontanarsi mai dai suoi e renderli partecipi della sua pasqua, istituì l’Eucaristia come memoriale (o ri-attualizzazione) della sua morte e della sua risurrezione, e comandò ai suoi Apostoli di celebrarla fino al suo ritorno, costituendoli in quel momento sacerdoti della Nuova Alleanza.

 

Quando Gesù comanda di ripetere i suoi gesti e le sue parole «finché egli venga» (1 Cor 11,26), non chiede soltanto che ci si ricordi di lui e di ciò che ha fatto. Egli ha di mira la celebrazione liturgica, per mezzo degli Apostoli e dei loro successori, la ri-presentazione vera dell’unica vita di Cristo, della sua morte, della sua risurrezione e della sua preghiera presso il Padre.

Fin dagli inizi la Chiesa è stata fedele al comando del Signore. Soprattutto «il primo giorno della settimana», cioè la domenica, il giorno della risurrezione di Gesù, i cristiani si riunivano «per spezzare il pane» (At 20,7). Da quei tempi la celebrazione dell’Eucaristia si è perpetuata fino ai nostri giorni, così che oggi la ritroviamo ovunque nella Chiesa, con la stessa struttura fondamentale. Essa rimane il centro della vita della Chiesa.

Se i cristiani celebrano l’Eucaristia fin dalle origini e in una forma che, sostanzialmente, non è cambiata attraverso la grande diversità dei tempi e delle liturgie, è perché ci sappiamo vincolati dal comando del Signore, dato la vigilia della sua passione: «Fate questo in memoria di me» (1 Cor 11,24-25).

A questo comando del Signore obbediamo celebrando il memoriale del suo sacrificio, la ri-presentazione del suo unico e irripetibile sacrificio fatto una volta per sempre. Non lo si ripete ogni volta di nuovo, ma resta sempre l’unico, ripetuto e ri-presentato ogni volta che si celebra un’EucaristiaFacendo questo, offriamo al Padre ciò che egli stesso ci ha dato: i doni della creazione, il pane e il vino, diventati, per la potenza dello Spirito Santo e per le parole di Cristo, il Corpo e il Sangue di Cristo: in questo modo Cristo è reso realmente e misteriosamente presente.

Dobbiamo dunque considerare l’Eucaristia:

come azione di grazie e lode al Padre,

come memoriale (ri-presentazione) del sacrificio di Cristo e del suo corpo,
come presenza di Cristo in virtù della potenza della sua parola e del suo Spirito.

 

L’Eucaristia è anche un sacrificio di lode, un ringraziamento per l’opera della creazione. Nel sacrificio eucaristico, tutta la creazione amata da Dio è presentata al Padre attraverso la morte e la risurrezione di Cristo. Per mezzo di Cristo, la Chiesa può offrire il sacrificio di lode in rendimento di grazie per tutto ciò che Dio ha fatto di buono, di bello e di giusto nella creazione e nell’umanità.

L’Eucaristia è un sacrificio di ringraziamento al Padre, una benedizione con la quale la Chiesa esprime la propria riconoscenza a Dio per tutti i suoi benefici, per tutto ciò che ha operato mediante la creazione, la redenzione e la santificazione dell’uomo caduto nel peccato. Eucaristia significa prima di tutto: «azione di grazie».

L’Eucaristia è anche il sacrificio della lode, con il quale la Chiesa canta la gloria di Dio in nome di tutta la creazione. Tale sacrificio di lode è possibile unicamente attraverso Cristo: egli unisce i fedeli alla sua persona, alla sua lode e alla sua preghiera al Padre, in modo che il sacrificio di lode è offerto da Cristo e con lui per essere accettato in lui.

Quando la Chiesa celebra l’Eucaristia, fa memoria della pasqua di Cristo, e questa diviene presente: il sacrificio che Cristo ha offerto una volta per tutte sulla croce rimane sempre attuale: Ogni volta che il sacrificio della croce, col quale Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato, viene celebrato sull’altare, si effettua l’opera della nostra liberazione dal peccato.

In quanto memoriale della pasqua di Cristo, l’Eucaristia è anche un sacrificio. Il carattere sacrificale dell’Eucaristia si manifesta nelle parole stesse dell’istituzione: «Questo è il mio Corpo che è dato per voi» e: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio Sangue, che viene versato per voi» (Lc 22,19-20). Nell’Eucaristia Cristo dona lo stesso corpo che ha consegnato per noi sulla croce, lo stesso sangue che egli ha versato per molti, in remissione dei peccati.

L’Eucaristia è dunque un sacrificio perché ripresenta (rende presente) il sacrificio della croce, perché ne è il memoriale e perché ottiene la salvezza eterna.

Il sacrificio di Cristo e il sacrificio dell’Eucaristia sono un unico sacrificio: si tratta infatti di una sola e identica vittima e lo stesso Gesù la offre ora attraverso il ministero dei sacerdoti.

L’Eucaristia è anche il sacrificio della Chiesa. La Chiesa, che è il corpo di Cristo, partecipa all’offerta del suo Capo. Con lui, essa stessa viene offerta tutta intera. La vita dei fedeli, la loro lode, la loro sofferenza, la loro preghiera, il loro lavoro, sono uniti a quelli di Cristo e alla sua offerta totale, e in questo modo acquistano un valore nuovo. Il sacrificio di Cristo riattualizzato sull’altare offre a tutte le generazioni di cristiani la possibilità di essere uniti alla sua offerta.

All’offerta di Cristo si uniscono non soltanto i membri che sono ancora sulla terra, ma anche quelli che si trovano già nella gloria del cielo. La Chiesa offre infatti il sacrificio eucaristico in comunione con la santissima Vergine Maria, facendo memoria di lei, come pure di tutti i santi e di tutte le sante. Nell’Eucaristia la Chiesa, con Maria, è come ai piedi della croce, unita all’offerta e all’intercessione di Cristo.

Il sacrificio eucaristico è offerto anche per i fedeli defunti che sono morti in Cristo e non sono ancora pienamente purificati, affinché possano entrare nella luce e nella pace di Cristo:

Presentando a Dio le preghiere per i defunti, anche se peccatori, presentiamo il Cristo immolato per i nostri peccati, chiedendo di rendere clemente per loro e per noi il Dio amico degli uomini.

 

La presenza di Cristo operata dalla potenza della sua Parola e dello Spirito Santo

Il modo della presenza di Cristo sotto le specie eucaristiche (pane e vino) è unico. Esso pone l’Eucaristia al di sopra di tutti i sacramenti e ne fa il coronamento della vita spirituale e il fine al quale tendono tutti i sacramenti. Nel Santissimo Sacramento dell’Eucaristia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, con l’anima e la divinità e, quindi, il Cristo tutto intero. 

È per la conversione del pane e del vino nel suo Corpo e nel suo Sangue, che Cristo diviene presente in questo sacramento. Non è l’uomo che fa diventare le cose offerte Corpo e Sangue di Cristo, ma è Cristo stesso, che è stato crocifisso per noi. Il sacerdote, figura di Cristo, pronunzia quelle parole, ma la loro efficacia e la loro grazia sono doni di Dio.

La Chiesa e il mondo hanno grande bisogno del culto eucaristico. Gesù ci aspetta in questo sacramento dell’amore. Non risparmiamo il nostro tempo per andare ad incontrarlo nell’adorazione, nella contemplazione piena di fede e pronta a riparare le grandi colpe e i delitti del mondo. Non cessi mai la nostra adorazione.

Che in questo sacramento sia presente il vero Corpo e il vero Sangue di Cristo non si può conoscere con i sensi, ma con la sola fede, la quale si appoggia all’autorità di Dio. Per questo, non si deve mettere in dubbio se questo sia vero, ma piuttosto bisogna accettare con fede le parole del Salvatore: egli è la verità, non mentisce.

La Messa è ad un tempo e inseparabilmente il memoriale del sacrificio nel quale si perpetua il sacrificio della croce, e del sacro banchetto dove il fedele si nutre del Corpo e del Sangue del Signore. La celebrazione del sacrificio eucaristico è totalmente orientata all’unione intima dei fedeli con Cristo attraverso la Comunione. Comunicarsi è ricevere Cristo stesso che si è offerto per noi.

L’altare rappresenta i due aspetti di uno stesso mistero: l’altare del sacrificio e la mensa del Signore. L’altare è il simbolo di Cristo, presente in mezzo all’assemblea dei suoi fedeli sia come vittima offerta per la nostra riconciliazione con Dio dopo il peccato, sia come alimento celeste che si dona a noi.

Il Signore ci rivolge un invito pressante a riceverlo nel sacramento dell’Eucaristia: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la Carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo Sangue, non avrete in voi la vita» (Gv 6,53).

Per rispondere a questo invito dobbiamo prepararci a questo momento così grande e così santo. San Paolo esorta a fare prima un esame di coscienza. Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla Comunione.

Per prepararsi in modo conveniente a ricevere questo sacramento, i fedeli osserveranno il digiuno prescritto nella Chiesa: prima di prendere la comunione bisogna essere digiuni da un’ora. I fedeli parteciperanno alla Eucaristia la domenica e le feste e la riceveranno almeno una volta all’anno, possibilmente nel tempo pasquale, preparati dal sacramento della Riconciliazione. La Chiesa tuttavia raccomanda vivamente ai fedeli di ricevere la santa Eucaristia la domenica e i giorni festivi, o ancora più spesso, anche tutti i giorni.

Poiché Cristo è presente tutto intero sia nel pane che nel vino consacrati, la Comunione con la sola specie del pane permette di ricevere tutto il frutto di grazia dell’Eucaristia.

I frutti della Comunione

La Comunione accresce la nostra unione a Cristo. Ricevere l’Eucaristia nella Comunione reca come frutto principale l’unione intima con Cristo Gesù.

Ciò che l’alimento materiale produce nella nostra vita fisica, la Comunione lo realizza in modo mirabile nella nostra vita spirituale. La Comunione alla Carne del Cristo risorto conserva, accresce e rinnova la vita di grazia ricevuta nel Battesimo. La crescita della vita cristiana richiede di essere alimentata dalla Comunione eucaristica, pane del nostro pellegrinaggio, fino al momento della morte, quando ci sarà data come viatico, ovvero come accompagnamento verso la vita eterna.

La Comunione ci separa dal peccato, ci purifica dai peccati veniali commessi e ci premunisce da quelli futuri. Come il cibo del corpo serve a recuperare le forze perdute, l’Eucaristia fortifica la carità che, nella vita di ogni giorno, tende ad indebolirsi; la carità così vivificata cancella i peccati veniali. Donandosi a noi, Cristo ravviva il nostro amore e ci rende capaci di troncare gli attaccamenti disordinati alle creature e di radicarci in lui:

Proprio per la carità che accende in noi, l’Eucaristia ci preserva in futuro dai peccati mortali. Quanto più partecipiamo alla vita di Cristo e progrediamo nella sua amicizia, tanto più ci è difficile separarci da lui con il peccato mortale. L’Eucaristia non è ordinata al perdono dei peccati mortali. Questo è proprio del sacramento della Riconciliazione. Il proprio dell’Eucaristia è invece di essere il sacramento di coloro che sono nella piena comunione della Chiesa, cioè senza peccati mortali sulla coscienza.

L’Eucaristia fa la Chiesa. Coloro che ricevono l’Eucaristia sono uniti più strettamente a Cristo. Perciò, Cristo li unisce a tutti i fedeli in un solo corpo: la Chiesa. La Comunione rinnova, fortifica, approfondisce questa incorporazione alla Chiesa già realizzata mediante il Battesimo. Nel Battesimo siamo stati chiamati a formare un solo corpo. L’Eucaristia realizza questa chiamata.

L’Eucaristia impegna nei confronti dei poveri. Per ricevere nella verità il Corpo e il Sangue di Cristo offerti per noi, dobbiamo riconoscere Cristo nei più poveri, suoi fratelli.

L’Eucaristia: Pegno della gloria futura

L’Eucaristia è anche anticipazione della gloria del cielo. Nell’ultima Cena il Signore stesso ha fatto volgere lo sguardo dei suoi discepoli verso il compimento della pasqua nel regno di Dio: «Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio» (Mt 26,29). Ogni volta che la Chiesa celebra l’Eucaristia, ricorda questa promessa e il suo sguardo si volge verso «Colui che viene» (Ap 1,4). Nella preghiera, essa invoca la sua venuta: «Maranatha» (1 Cor 16,22), che significa «Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20).

La Chiesa sa che, fin d’ora, il Signore viene nella sua Eucaristia, e che egli è lì, in mezzo a noi. Tuttavia questa presenza è nascosta. È per questo che celebriamo l’Eucaristia nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo, chiedendo di ritrovarci insieme a godere della tua gloria quando, asciugata ogni lacrima, i nostri occhi vedranno il suo volto, saremo simili a lui e canteremo per sempre la sua lode.

L’Eucaristia è il pegno più sicuro e il segno più esplicito di questa grande speranza, quella dei nuovi cieli e della terra nuova, nei quali abiterà la giustizia, Ogni volta che viene celebrato questo mistero, noi riceviamo l’unico pane, che è farmaco d’immortalità, antidoto per non morire, ma per vivere in Gesù Cristo per sempre.

Quelli che si accostano al sacramento della Penitenza ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a lui e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato e che tuttavia coopera alla loro conversione con la carità, l’esempio e la preghiera.

È chiamato sacramento della Conversione poiché realizza l’invito di Gesù alla conversione, il cammino di ritorno al Padre da cui ci si è allontanati con il peccato.

È chiamato sacramento della Penitenza poiché dà inizio a un cammino personale e nella Chiesa di conversione, di pentimento e di soddisfazione del cristiano peccatore.

È chiamato sacramento della Confessione poiché l’accusa, la confessione dei peccati davanti al sacerdote è un elemento essenziale di questo sacramento. In un senso profondo esso è anche una confessione, un riconoscimento e lode della santità di Dio e della sua misericordia verso l’uomo peccatore.

È chiamato sacramento del Perdono poiché, attraverso l’assoluzione sacramentale del sacerdote, Dio accorda al penitente il perdono e la pace.

È chiamato sacramento della Riconciliazione perché dona al peccatore l’amore di Dio che riconcilia.

La conversione a Cristo, la nuova nascita dal Battesimo, il dono dello Spirito Santo, il Corpo e il Sangue di Cristo ricevuti in nutrimento, ci hanno resi santi e immacolati come la Chiesa stessa, Sposa di Cristo davanti a lui. Tuttavia, la vita nuova, ricevuta nel Battesimo e confermata nella Cresima, non ha soppresso la fragilità e la debolezza della natura umana, né l’inclinazione al peccato che la tradizione chiama concupiscenza, la quale rimane nei battezzati perché combattano le loro tentazioni della vita cristiana, aiutati dalla grazia di Cristo. Si tratta del combattimento della conversione in vista della santità e della vita eterna alla quale il Signore non cessa di chiamarci.

Gesù chiama alla conversione. Questo appello è una componente essenziale dell’annuncio del Regno di Dio, fatto da Gesù e proseguito dagli Apostoli, suoi successori. Nella predicazione della Chiesa questo invito si rivolge dapprima a quanti non conoscono ancora Cristo e il suo Vangelo. Il Battesimo è quindi il luogo principale della prima e fondamentale conversione. È mediante la fede nella Buona Novella e mediante il Battesimo che si rinuncia al male e si acquista la salvezza, cioè la remissione di tutti i peccati e il dono della vita nuova.

Ora, l’appello di Cristo alla conversione continua a risuonare nella vita dei cristiani, è una seconda conversione, è un impegno continuo per tutta la Chiesa che è santa ma sempre bisognosa di purificazione, di penitenza e di rinnovamento interiore. Questo sforzo di conversione non è soltanto un’opera umana, è Dio che ci ha amati per primo a invitarci ad amarlo ancora una volta.

La seconda conversione ha pure una dimensione comunitaria, è conversione di tutta la Chiesa.

La penitenza interiore è un radicale nuovo orientamento di tutta la vita, un ritorno, una conversione a Dio con tutto il cuore, una rottura con il peccato, un’avversione per il male, insieme con la rinuncia alle cattive azioni che abbiamo commesse. Nello stesso tempo, essa comporta il desiderio e la decisione di cambiare vita con la speranza nella misericordia di Dio e la fiducia nell’aiuto della sua grazia.

Bisogna che Dio conceda all’uomo un cuore nuovo. È scoprendo la grandezza dell’amore di Dio che il nostro cuore viene scosso dal peso del peccato e comincia a temere di offendere Dio con il peccato e di essere separato da lui. Il cuore umano si converte guardando a colui che è stato trafitto dai nostri peccati.

La penitenza interiore del cristiano può avere espressioni molto varie, soprattutto tre forme: il digiunola preghiera, l’elemosina, che esprimono la conversione in rapporto a se stessi, in rapporto a Dio e in rapporto agli altri.

La conversione e la penitenza quotidiane trovano la loro sorgente e il loro alimento nell’Eucaristia, poiché in essa è reso presente il sacrificio di Cristo che ci ha riconciliati con Dio; per suo mezzo vengono nutriti e fortificati coloro che vivono della vita di Cristo; essa è l’antidoto con cui essere liberati dalle colpe di ogni giorno e preservati dai peccati mortali.

La lettura della Sacra Scrittura, la preghiera della liturgia delle Ore e del Padre nostro, ogni atto sincero di culto o di pietà ravviva in noi lo spirito di conversione e di penitenza e contribuisce al perdono dei nostri peccati.

Esempi di opere buone o di penitenza:

fare un pio pellegrinaggio ad un Santuario;

rendere visita, per un congruo tempo, a fratelli in necessità o difficoltà (infermi, carcerati, anziani soli, handicappati ecc.), quasi compiendo un pellegrinaggio verso Cristo presente in loro;

sostenere con un significativo contributo opere di carattere religioso o sociale (a favore dell’infanzia abbandonata, della gioventù in difficoltà, degli anziani bisognosi, degli stranieri nei vari Paesi in cerca di migliori condizioni di vita);

dedicare una congrua parte del proprio tempo libero ad attività utili per la comunità o altre simili forme di personale sacrificio;

astenersi da consumi superflui (fumo, bevande alcooliche ecc.);

fare astinenza dalle carni (o altro cibo), devolvendo una proporzionata somma ai poveri.

digiunare;

I tempi e i giorni di penitenza nel corso dell’anno liturgico (il tempo della Quaresima, ogni venerdì in memoria della morte del Signore) sono momenti forti della pratica penitenziale della Chiesa.

Il peccato è anzitutto offesa a Dio, rottura della comunione con lui. Nello stesso tempo esso è contrario alla comunione con la Chiesa. Per questo motivo la conversione porta ad un tempo il perdono di Dio e la riconciliazione con la Chiesa, ciò che il sacramento della Penitenza o Riconciliazione esprime e realizza liturgicamente.

Dio solo perdona i peccati, ma Gesù dona tale potere ai sacerdoti, perché lo esercitino nel suo nome.

Cristo ha voluto che la sua Chiesa sia tutta intera, nella sua preghiera, nella sua vita e nelle sue attività, il segno e lo strumento del perdono e della riconciliazione che egli ci ha acquistato a prezzo del suo sangue. Ha tuttavia affidato l’esercizio del potere di assolvere i peccati ai vescovi e ai sacerdoti, loro collaboratori

Durante la sua vita pubblica, Gesù non ha soltanto perdonato i peccati; ha pure manifestato l’effetto di questo perdono: egli ha reintegrato i peccatori perdonati nella comunità del popolo di Dio, dalla quale il peccato li aveva allontanati o persino esclusi. Un segno chiaro di ciò è il fatto che Gesù ammette i peccatori alla sua tavola; più ancora, egli stesso siede alla loro mensa, gesto che esprime in modo sconvolgente il perdono di Dio e, nello stesso tempo, il ritorno al popolo di Dio.

Cristo ha istituito il sacramento della Penitenza per tutti i membri peccatori della sua Chiesa, in primo luogo per coloro che, dopo il Battesimo, sono caduti in peccato grave e hanno così perduto la grazia battesimale e inflitto una ferita alla comunione ecclesiale. A costoro il sacramento della Penitenza offre una nuova possibilità di convertirsi e di recuperare la grazia della giustificazione.

Attraverso i cambiamenti che la disciplina e la celebrazione di questo sacramento hanno conosciuto nel corso dei secoli, si vede chiaramente la stessa struttura fondamentale. Essa comporta due elementi ugualmente essenziali: da una parte, gli atti dell’uomo che si converte sotto l’azione dello Spirito Santo: cioè il pentimento, la confessione e la penitenza ricevuta dal sacerdote confessore; dall’altra parte, l’azione di Dio attraverso l’intervento della Chiesa, mediante il sacerdote. La Chiesa che concede nel nome di Gesù Cristo il perdono dei peccati e stabilisce la modalità della penitenza, prega anche per il peccatore e fa penitenza con lui. Così il peccatore viene guarito e ristabilito nella comunione ecclesiale, ossia nel corpo unito della Chiesa.

Tra gli atti del penitente, il pentimento occupa il primo posto. È il dolore dell’animo e il rifiuto del peccato commesso, accompagnati dal proposito di non peccare più in avvenire.

Quando proviene dall’amore di Dio amato sopra ogni cosa, il pentimento è perfetto e rimette le colpe veniali; ottiene anche il perdono dei peccati mortali. Tuttavia, chi è consapevole di aver commesso un peccato mortale non deve ricevere la santa Comunione, anche se prova un grande pentimento. Deve prima confessarsi al sacerdote.

Il pentimento è imperfetto quando nasce dal timore della dannazione eterna e delle altre pene. Quando la coscienza viene scossa, può aver inizio un’evoluzione interiore che sarà portata a compimento, sotto l’azione della grazia, dall’assoluzione del sacerdote. Da solo, il pentimento imperfetto non ottiene il perdono dei peccati gravi, ma dispone a riceverlo nel sacramento della Penitenza, dove è presente il sacerdote.

È bene prepararsi a ricevere questo sacramento con un esame di coscienza fatto alla luce della Parola di Dio, espressa soprattutto nel Decalogo.

La confessione dei peccati (l’accusa), anche da un punto di vista semplicemente umano, ci libera e facilita la nostra riconciliazione con gli altri. Con l’accusa, l’uomo guarda in faccia i peccati di cui si è reso colpevole; se ne assume la responsabilità e, in tal modo, si apre nuovamente a Dio e alla comunione della Chiesa al fine di rendere possibile una vita nuova futura.

La confessione al sacerdote costituisce una parte essenziale del sacramento della Penitenza. È necessario che i penitenti enumerino nella confessione tutti i peccati mortali, di cui hanno consapevolezza dopo un diligente esame di coscienza.

Sebbene non sia strettamente necessaria, la confessione delle colpe quotidiane (peccati veniali) è tuttavia vivamente raccomandata dalla Chiesa. La confessione regolare dei peccati veniali ci aiuta a formare la nostra coscienza, a lottare contro le cattive inclinazioni, a lasciarci guarire da Cristo, a progredire nella vita dello Spirito. Ricevendo più frequentemente, attraverso questo sacramento, il dono della misericordia del Padre, siamo spinti ad essere misericordiosi come lui.

Molti peccati recano offesa al prossimo. Bisogna fare il possibile per riparare (ad esempio restituire cose rubate, ristabilire la reputazione di chi è stato calunniato, risanare le ferite). La semplice giustizia lo esige. Ma, in più, il peccato ferisce e indebolisce il peccatore stesso, come anche le sue relazioni con Dio e con il prossimo. L’assoluzione toglie il peccato, ma non porta rimedio a tutti i disordini che il peccato ha causato. Risollevato dal peccato, il peccatore deve ancora recuperare la piena salute spirituale. Deve dunque fare qualcosa di più per riparare le proprie colpe; questa soddisfazione si chiama anche «penitenza», o pena per il peccato commesso. Dio perdona la colpa, ma l’uomo deve purificarsi dalla pena.

Gli effetti di questo sacramento

Tutto il valore della Penitenza consiste nel restituirci alla grazia di Dio stringendoci a lui in intima e grande amicizia. Il fine e l’effetto di questo sacramento sono dunque la riconciliazione con Dio. Coloro che ricevono il sacramento della Penitenza ottengono la pace e la serenità della coscienza insieme con una consolazione dello spirito. Infatti, il sacramento della Riconciliazione con Dio opera una autentica risurrezione spirituale, restituisce la dignità e i beni della vita dei figli di Dio, di cui il più prezioso è l’amicizia di Dio.

Questo sacramento ci riconcilia con la Chiesa. Il peccato incrina o spezza la comunione fraterna. Il sacramento della Penitenza la ripara o la restaura. In questo senso, ha pure un effetto sulla vita della Chiesa che ha sofferto a causa del peccato di uno dei suoi membri. Bisogna aggiungere che la riconciliazione con Dio ha, come conseguenza, altre riconciliazioni: il penitente perdonato si riconcilia con se stesso nel fondo più intimo del proprio essere, si riconcilia con i fratelli, , si riconcilia con la Chiesa; si riconcilia con tutto il creato.

In questo sacramento, il peccatore, rimettendosi al giudizio misericordioso di Dio, anticipa in un certo modo il giudizio al quale sarà sottoposto al termine di questa esistenza terrena. È infatti ora, in questa vita, che ci è offerta la possibilità di scegliere tra la vita e la morte, ed è soltanto attraverso il cammino della conversione che possiamo entrare nel regno di Dio, dal quale il peccato grave esclude. Convertendosi a Cristo mediante la penitenza e la fede, il peccatore passa dalla morte alla vita e non va incontro al giudizio.

Con la sacra Unzione degli infermi e la preghiera dei sacerdoti, tutta la Chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e glorificato, perché alleggerisca le loro pene e li salvi, anzi li esorta a unirsi spontaneamente alla passione e alla morte di Cristo, per contribuire così al bene del popolo di Dio.

La malattia e la sofferenza sono sempre state tra i problemi più gravi che mettono alla prova la vita umana. Nella malattia l’uomo fa l’esperienza della propria debolezza, dei propri limiti e della propria imperfezione. Ogni malattia può farci intravvedere la morte.

La malattia può condurre all’angoscia, al ripiegamento su di sé, talvolta persino alla disperazione e alla ribellione contro Dio. Ma essa può anche rendere la persona più matura, aiutarla a distinguere nella propria vita ciò che non è essenziale per volgersi verso ciò che lo è. Molto spesso la malattia provoca una ricerca di Dio, un ritorno a lui.

La compassione di Cristo verso i malati e le sue numerose guarigioni di infermi di ogni genere sono un chiaro segno del fatto che Dio ha visitato il suo popolo e che il regno di Dio è vicino. Gesù non ha soltanto il potere di guarire, ma anche di perdonare i peccati: è venuto a guarire l’uomo tutto intero, anima e corpo; è il medico di cui i malati hanno bisogno. La sua compassione verso tutti coloro che soffrono si spinge così lontano che egli si identifica con loro: «Ero malato e mi avete visitato» (Mt 25,36). Il suo amore di predilezione per gli infermi ha sempre reso i cristiani particolarmente premurosi verso tutti coloro che soffrono nel corpo e nello spirito.

Cristo invita i suoi discepoli a seguirlo prendendo anch’essi la loro croce. Seguendolo, assumono un nuovo modo di vedere la malattia e i malati. Gesù li associa alla sua vita di povertà e di servizio. Li rende partecipi del suo ministero di compassione e di guarigione.

«Guarite gli infermi!» (Mt 10,8). La Chiesa ha ricevuto questo compito dal Signore e cerca di attuarlo sia attraverso le cure che presta ai malati sia mediante la preghiera di intercessione con la quale li accompagna. Essa crede nella presenza vivificante di Cristo, medico delle anime e dei corpi. Questa presenza è particolarmente operante nei sacramenti e in modo tutto speciale nell’Eucaristia, pane che dà la vita eterna.

La Chiesa crede che esiste, tra i sette sacramenti, un sacramento destinato in modo speciale a confortare coloro che sono provati dalla malattia: l’Unzione degli infermi:

Nel corso dei secoli, l’Unzione degli infermi è stata conferita sempre più esclusivamente a coloro che erano in punto di morte. Per questo motivo aveva ricevuto il nome di «Estrema Unzione». Malgrado questa evoluzione, la liturgia non ha mai tralasciato di pregare il Signore affinché il malato riacquisti la salute, se ciò può giovare alla sua salvezza.

L’Unzione degli infermi non è il sacramento soltanto di coloro che sono in fin di vita. Perciò il tempo opportuno per riceverla si ha certamente già quando il fedele, per malattia o per vecchiaia, incomincia ad essere in pericolo di morte.

Se un malato che ha ricevuto l’Unzione riacquista la salute, può, in caso di un’altra grave malattia, ricevere nuovamente questo sacramento. Nel corso della stessa malattia il sacramento può essere ripetuto se si verifica un peggioramento. È opportuno ricevere l’Unzione degli infermi prima di un intervento chirurgico rischioso. Lo stesso vale per le persone anziane la cui debolezza si accentua.

I fedeli incoraggino i malati a ricorrere al sacerdote per ricevere tale sacramento. I malati si preparino a riceverlo con buone disposizioni, aiutati dal loro Pastore e da tutta la comunità ecclesiale, che è invitata a circondare in modo tutto speciale i malati con le sue preghiere e le sue attenzioni fraterne.

Se le circostanze lo consigliano, la celebrazione del sacramento può essere preceduta dal sacramento della Penitenza e seguita da quello dell’Eucaristia. L’Eucaristia dovrebbe essere sempre l’ultimo sacramento della vita terrena, il sostegno che accompagna il «passaggio» alla vita eterna.

La grazia fondamentale di questo sacramento è una grazia di conforto, di pace e di coraggio per superare le difficoltà proprie dello stato di malattia grave o della fragilità della vecchiaia. Questa grazia è un dono dello Spirito Santo che rinnova la fiducia e la fede in Dio e fortifica contro le tentazioni del maligno, cioè contro la tentazione di scoraggiamento e di angoscia di fronte alla morte. Questa assistenza del Signore attraverso la forza del suo Spirito vuole portare il malato alla guarigione dell’anima, ma anche a quella del corpo, se tale è la volontà di Dio. Inoltre, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati.

Per la grazia di questo sacramento il malato riceve la forza e il dono di unirsi più intimamente alla passione di Cristo: egli viene in certo qual modo consacrato per portare frutto mediante la configurazione alla passione redentrice del Salvatore. La sofferenza, conseguenza del peccato originale, riceve un senso nuovo: diviene partecipazione all’opera salvifica di Gesù.

Celebrando questo sacramento, la Chiesa, nella comunione dei santi, cioè di tutte le anime buone del Purgatorio e del Paradiso, che vivono in cielo, intercede per il bene del malato. E l’infermo, a sua volta, per la grazia di questo sacramento, contribuisce alla santificazione della Chiesa e al bene di tutti gli uomini per i quali la Chiesa soffre e si offre, per mezzo di Cristo, a Dio Padre.

Se il sacramento dell’Unzione degli infermi è conferito a tutti coloro che soffrono di malattie e di infermità gravi, a maggior ragione è dato a coloro che stanno per uscire da questa vita. L’Unzione degli infermi porta a compimento la nostra conformazione alla morte e alla risurrezione di Cristo, iniziata dal Battesimo. Essa completa le sante unzioni che segnano tutta la vita cristiana; quella del Battesimo aveva portato in noi la vita nuova; quella della Confermazione ci aveva fortificati per il combattimento di questa vita. Quest’ultima unzione forma un solido baluardo in vista delle ultime lotte spirituali prima dell’ingresso nella Casa del Padre.

A coloro che stanno per lasciare questa vita, la Chiesa offre, oltre all’Unzione degli infermi, l’Eucaristia come viatico, l’Eucaristia come nutrimento e accompagnamento finale. Ricevuta in questo momento di passaggio al Padre, la comunione al Corpo e al Sangue di Cristo ha un significato e un’importanza particolari. È seme di vita eterna e potenza di risurrezione, secondo le parole del Signore: « Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno » (Gv 6,54). Sacramento di Cristo morto e risorto, l’Eucaristia è, qui, sacramento del passaggio dalla morte alla vita, da questo mondo al Padre.

L’Ordine è il sacramento grazie al quale la missione affidata da Cristo ai suoi Apostoli continua ad essere esercitata nella Chiesa sino alla fine dei tempi. Si distingue in tre gradi, con responsabilità diverse: i vescovi come successori degli apostoli, i sacerdoti come collaboratori dei vescovi, i diaconi come aiuto dei sacerdoti nella loro attività parrocchiale.

Cristo, Sommo Sacerdote e unico mediatore, con il suo sacrificio e la sua risurrezione, ha fatto della Chiesa un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre. Tutta la comunità dei credenti è, come tale, sacerdotale. I fedeli esercitano il loro sacerdozio battesimale attraverso la partecipazione, ciascuno secondo la vocazione sua propria, alla missione di Cristo, Sacerdote per offrire sacrifici spirituali, Profeta per parlare in nome di Dio e Re per essere vittorioso nelle tentazioni.

Il sacerdozio ministeriale (cioè quello ricevuto con lo speciale sacramento dell’Ordine), dei Vescovi e dei sacerdoti e il sacerdozio comune di tutti i fedeli, anche se in modo diverso, partecipano all’unico sacerdozio di Cristo. Mentre il sacerdozio comune dei fedeli si realizza nella vita di fede, di speranza e di carità, il sacerdozio ministeriale è al servizio del sacerdozio comune, è uno dei mezzi con i quali Cristo continua a costruire e a guidare la sua Chiesa. Proprio per questo motivo viene trasmesso mediante un sacramento specifico, il sacramento dell’Ordine.

Nel ministero (o compito o servizio) ordinato, cioè quello ricevuto con il sacramento dell’Ordine, è Cristo stesso che è presente alla sua Chiesa in quanto: Capo del suo corpo, Pastore del suo gregge, Sommo Sacerdote del sacrificio redentore, Maestro di verità. È ciò che la Chiesa esprime dicendo che il sacerdote, in virtù del sacramento dell’Ordine, agisce in persona di Cristo Capo.

Il sacerdote è perciò assimilato al Sommo Sacerdote, gode della potestà di agire con la potenza dello stesso Cristo che rappresenta.

Questa presenza di Cristo nel sacerdote non deve essere intesa come se costui fosse premunito contro ogni debolezza umana, lo spirito di dominio, gli errori, persino il peccato. La forza dello Spirito Santo non garantisce nello stesso modo tutti gli atti dei sacerdoti. Mentre nell’amministrazione dei sacramenti viene data questa garanzia, così che neppure il peccato del sacerdote può impedire il frutto della grazia, esistono molti altri atti lei quali il sacerdote non sempre è fedele al Vangelo e danneggia così tutta la Chiesa.

Nel sacramento dell’Ordine, in virtù dell’unzione dello Spirito Santo, i sacerdoti sono segnati da uno speciale carattere che li configura a Cristo Sacerdote, in modo da poter agire in nome e nella persona di Cristo Capo.

In virtù del sacramento dell’Ordine i sacerdoti partecipano alla dimensione universale della missione affidata da Cristo agli Apostoli. Il dono spirituale che hanno ricevuto nell’ordinazione non li prepara ad una missione limitata e ristretta, bensì a una vastissima e universale missione di salvezza, «fino agli ultimi confini della terra» (At 1,8), pronti nel loro animo a predicare dovunque il Vangelo.

Essi esercitano la loro funzione sacra soprattutto nell’assemblea eucaristica, dove, agendo in persona di Cristo, e proclamando il suo mistero, uniscono i desideri dei fedeli al sacrificio del loro Capo e nel sacrificio della Messa rendono presente e celebrano, fino alla venuta del Signore, l’unico sacrificio di Cristo, che una volta per tutte si offre al Padre quale vittima immacolata. Da questo unico sacrificio tutto il loro dovere sacerdotale trae la sua forza.

È Cristo che ha scelto gli Apostoli e li ha resi partecipi della sua missione e della sua autorità. Innalzato alla destra del Padre, non abbandona il suo gregge, ma lo custodisce e lo protegge sempre per mezzo degli Apostoli e ancora lo conduce sotto la guida di quegli stessi Pastori che continuano oggi la sua opera. È dunque Cristo che stabilisce alcuni come Apostoli, altri come Pastori. Egli continua ad agire per mezzo dei Vescovi e dei sacerdoti come suoi collaboratori.

Riceve validamente il sacramento dell’Ordine esclusivamente il battezzato di sesso maschile. Gesù ha scelto uomini per formare il gruppo dei dodici Apostoli, e gli Apostoli hanno fatto lo stesso quando hanno scelto i collaboratori, che sarebbero loro succeduti nell’annuncio del Vangelo e nella celebrazione anzitutto della Eucaristia e poi degli altri sacramenti. Il gruppo dei Vescovi, chiamato anche “collegio dei vescovi”, con i quali i sacerdoti sono uniti nel sacerdozio, rende presente e attualizza fino al ritorno di Cristo il gruppo dei Dodici Apostoli scelti direttamente da Gesù. La Chiesa si riconosce vincolata da questa scelta fatta dal Signore stesso e per questo motivo l’ordinazione delle donne non è possibile.

Chi crede di riconoscere i segni della chiamata di Dio al sacerdozio, deve sottoporre il proprio desiderio all’autorità della Chiesa, alla quale spetta la responsabilità e il diritto di chiamare qualcuno a ricevere gli Ordini. Come ogni grazia, questo sacramento può essere ricevuto solo come dono immeritato, proveniente da Dio, non da meriti umani.

I sacerdoti si donano interamente a Dio e agli uomini. Il celibato è un segno di questa vita nuova al cui servizio il sacerdote viene consacrato; abbracciato con cuore gioioso, esso annuncia in modo evidente il regno di Dio che verrà alla fine dei tempi.

Gli effetti del sacramento dell’Ordine

Questo sacramento rende simili a Cristo in forza di una grazia speciale dello Spirito Santo, allo scopo di servire da strumento di Cristo per la sua Chiesa. Per mezzo dell’ordinazione si viene abilitati ad agire come rappresentanti di Cristo, Capo della Chiesa, nella sua triplice funzione di sacerdote, che si offre per salvare dai peccati, profeta, che parla in nome di Dio e re che vince le tentazioni e i pericoli di peccare.

Come nel caso del Battesimo e della Confermazione, questa partecipazione alla funzione di Cristo è accordata una volta per tutte. Il sacramento dell’Ordine conferisce, anch’esso, un carattere spirituale indelebile e non può essere ripetuto né essere conferito per un tempo limitato.

Il dono spirituale conferito dall’ordinazione sacerdotale è espresso da questa preghiera propria del rito bizantino. Il Vescovo, imponendo le mani, dice tra l’altro:

« Signore, riempi di Spirito Santo colui che ti sei degnato di elevare alla dignità sacerdotale, affinché sia degno di stare irreprensibile davanti al tuo altare, di annunciare il Vangelo del tuo regno, di compiere il ministero della tua parola di verità, di offrirti doni e sacrifici spirituali, di rinnovare il tuo popolo mediante il battesimo; in modo che egli stesso vada incontro al nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo, tuo unico Figlio, nel giorno della sua seconda venuta, e riceva dalla tua immensa bontà la ricompensa di un fedele adempimento del suo ministero ».

San Gregorio Nazianzeno, Padre della Chiesa vissuto nel sec. IV, scrive: «Bisogna cominciare col purificare se stessi prima di purificare gli altri; bisogna essere istruiti per poter istruire; bisogna divenire luce per illuminare, avvicinarsi a Dio per avvicinare a lui gli altri, essere santificati per santificare, condurre per mano e consigliare con intelligenza. So di chi siamo i ministri, a quale altezza ci troviamo e chi è colui verso il quale ci dirigiamo, Gesù. Il sacerdote è il difensore della verità, che condivide il sacerdozio di Cristo, rinnova la coscienza umana, restituisce l’immagine di Dio, la ricrea per il mondo di lassù, e, per dire ciò che vi è di più sublime, è divinizzato e divinizza».

Il patto matrimoniale con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione della prole, tra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento.

L’intima comunione di vita e di amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dal patto coniugale. Dio stesso è l’autore del matrimonio. La vocazione al matrimonio è iscritta nella natura stessa dell’uomo e della donna, quali sono usciti dalla mano del Creatore. Il matrimonio non è un’istituzione puramente umana, malgrado i numerosi mutamenti che ha potuto subire nel corso dei secoli, nelle varie culture, strutture sociali e attitudini spirituali. Queste diversità non devono far dimenticare i tratti comuni e permanenti del matrimonio. Sebbene la dignità di questa istituzione non appaia ovunque con la stessa chiarezza, esiste tuttavia in tutte le culture un certo senso della grandezza dell’unione matrimoniale. La salvezza della persona e della società umana e cristiana è strettamente connessa con una felice situazione della comunità coniugale e familiare.

Dio, che ha creato l’uomo per amore, lo ha anche chiamato all’amore, vocazione fondamentale e innata di ogni essere umano. Infatti l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio che «è Amore» (1 Gv 4,8.16). Avendolo Dio creato uomo e donna, il loro reciproco amore diventa un’immagine dell’amore assoluto e indefettibile con cui Dio ama l’uomo. È cosa buona, molto buona, agli occhi del Creatore. E questo amore che Dio benedice è destinato ad essere fecondo e a realizzarsi nell’impegno comune di custodire la creazione: «Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela”» (Gn 1,28).

Ogni uomo fa l’esperienza del male, attorno a sé e in se stesso. Questa esperienza si fa sentire anche nelle relazioni fra l’uomo e la donna. Da sempre la loro unione è stata minacciata dalla discordia, dallo spirito di dominio, dall’infedeltà, dalla gelosia e da conflitti che possono arrivare fino all’odio e alla rottura della coppia. Questo disordine può manifestarsi in modo più o meno acuto, e può essere più o meno superato, secondo le culture, le epoche, gli individui, ma sembra proprio avere un carattere universale.

Secondo la fede, questo disordine che noi constatiamo con dolore, non deriva dalla natura dell’uomo e della donna, né dalla natura delle loro relazioni personali, ma dal peccato. Il primo peccato, una disobbedienza a Dio, ha come prima conseguenza la rottura della comunione originale dell’uomo e della donna. Le loro relazioni sono distorte da accuse reciproche; la loro mutua attrattiva, dono proprio del Creatore, si cambia in rapporti di dominio e di bramosia; la vocazione dell’uomo e della donna ad essere fecondi, a moltiplicarsi e a soggiogare la terra è gravata dai dolori del parto e dalle fatiche del lavoro. 

Tuttavia, anche se gravemente sconvolto, l’aspetto buono e positivo della creazione permane. Per guarire le ferite del peccato, l’uomo e la donna hanno bisogno dell’aiuto della grazia che Dio, nella sua infinita misericordia, non ha loro mai rifiutato. Senza questo aiuto l’uomo e la donna non possono giungere a realizzare l’unione delle loro vite, in vista della quale Dio li ha creati da principio.

Dopo la caduta, il matrimonio aiuta a vincere il ripiegamento su di sé, l’egoismo, la ricerca del proprio piacere, e ad aprirsi all’altro, all’aiuto vicendevole, al dono di sé.

Alle soglie della sua vita pubblica, Gesù compie il suo primo segno – su richiesta di sua Madre – durante una festa nuziale, il miracolo di Cana, quando Gesù trasforma l’acqua in vino. La Chiesa attribuisce una grande importanza alla presenza di Gesù alle nozze di Cana. Vi riconosce la conferma della bontà del matrimonio e l’annuncio che ormai esso sarà un segno efficace della presenza di Cristo.

Nella sua predicazione Gesù ha insegnato senza equivoci il senso originale dell’unione dell’uomo e della donna, quale il Creatore l’ha voluta all’origine: il permesso, dato da Mosè, di ripudiare la propria moglie, era una concessione motivata dalla durezza del cuore degli ebrei durante il ritorno dall’Egitto alla Terra promessa, destinata ad essere tolta al momento dell’avvento di Gesù. Egli insegna che l’unione matrimoniale dell’uomo e della donna è indissolubile: Dio stesso l’ha conclusa: «Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi» (Mt 19,6).

Questa inequivocabile insistenza sull’indissolubilità del vincolo matrimoniale ha potuto lasciare perplessi tanti uomini e donne, e apparire come un’esigenza irrealizzabile. Tuttavia Gesù non ha caricato gli sposi di un fardello impossibile da portare e troppo gravoso, più pesante della Legge di Mosè. Venendo a ristabilire l’ordine iniziale della creazione sconvolto dal peccato, egli stesso dona la forza e la grazia per vivere il matrimonio nella nuova dimensione del regno di Dio. Seguendo Cristo, rinnegando se stessi, prendendo su di sé la propria croce per amore e con amore di Dio, gli sposi potranno capire il senso originale del matrimonio e viverlo con l’aiuto di Cristo. Questa grazia del Matrimonio cristiano è un frutto della croce di Cristo, sorgente di ogni vita cristiana.

È ciò che l’Apostolo Paolo lascia intendere quando dice: «Voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa» (Ef 5,25-26), e aggiunge subito: «”Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola” (Gen 2,24). Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!» (Ef 5,31-32).

Tutta la vita cristiana porta il segno dell’amore sponsale di Cristo e della Chiesa. Già il Battesimo, che introduce nel popolo di Dio, è un mistero nuziale: è, per così dire, la purificazione delle nozze che precede il banchetto di nozze, cioè l’Eucaristia. Il Matrimonio cristiano è simbolo e realizzazione concreta dell’Alleanza di Cristo e della Chiesa.

La verginità per il Regno

Cristo è il centro di ogni vita cristiana. Il legame con lui occupa il primo posto rispetto a tutti gli altri legami, familiari o sociali. Fin dall’inizio della Chiesa, ci sono stati uomini e donne che hanno rinunciato al grande bene del matrimonio per seguire l’Agnello, Cristo, dovunque vada, per preoccuparsi delle cose del Signore e cercare di piacergli, per andare incontro allo Sposo che viene, Cristo stesso

La verginità per il regno dei cieli è uno sviluppo della grazia battesimale, un segno possente della preminenza del legame con Cristo, dell’attesa ardente del suo ritorno, un segno che ricorda pure come il matrimonio sia una realtà del mondo presente che passa.

Entrambi, il sacramento del Matrimonio e la verginità per il regno di Dio, provengono dal Signore stesso. È lui che dà loro senso e concede la grazia indispensabile per viverli conformemente alla sua volontà. La stima della verginità per il Regno e il senso cristiano del Matrimonio sono inseparabili e si favoriscono reciprocamente:

In quanto gesto sacramentale di santificazione, la celebrazione liturgica del Matrimonio deve essere per sé valida, degna e fruttuosa. Conviene quindi che i futuri sposi si dispongano alla celebrazione del loro Matrimonio ricevendo il sacramento della Penitenza.

I protagonisti dell’alleanza matrimoniale sono un uomo e una donna battezzati, liberi di contrarre il matrimonio e che esprimono liberamente il loro consenso

La Chiesa considera lo scambio del consenso tra gli sposi come l’elemento indispensabile che costituisce il Matrimonio. Se il consenso manca, non c’è Matrimonio.

Il sacerdote (o il diacono) che assiste alla celebrazione del Matrimonio, accoglie il consenso degli sposi a nome della Chiesa e dà la benedizione della Chiesa. La presenza del ministro della Chiesa (e anche dei testimoni) esprime visibilmente che il Matrimonio è una realtà ecclesiale, che rientra cioè nell’azione della Chiesa intera.

Perché il «Sì» degli sposi sia un atto libero e responsabile, e l’alleanza matrimoniale abbia delle basi umane e cristiane solide e durature, la preparazione al Matrimonio è di fondamentale importanza. L’esempio e l’insegnamento dati dai genitori e dalle famiglie restano il cammino privilegiato di questa preparazione.

Il ruolo dei Pastori e della comunità cristiana come «famiglia di Dio» è indispensabile per la trasmissione dei valori umani e cristiani del matrimonio e della famiglia, tanto più che nel nostro tempo molti giovani conoscono l’esperienza di famiglie distrutte che non assicurano più sufficientemente questa preparazione. I giovani devono essere adeguatamente e tempestivamente istruiti, soprattutto in seno alla propria famiglia, sulla dignità dell’amore coniugale, sulla sua funzione e le sue espressioni; così che, formati nella stima della castità, possano ad età conveniente passare da un onesto fidanzamento alle nozze.

I matrimoni misti e la disparità di culto

In numerosi paesi si presenta assai di frequente la situazione del matrimonio misto (fra cattolico e battezzato non cattolico). Essa richiede un’attenzione particolare dei coniugi e dei Pastori. Il caso di matrimonio con disparità di culto (fra cattolico e non-battezzato) esige una attenzione ancora maggiore.

La diversità di confessione fra i coniugi non costituisce un ostacolo insormontabile per il matrimonio, allorché essi arrivano a mettere in comune ciò che ciascuno di loro ha ricevuto nella propria comunità, e ad apprendere l’uno dall’altro il modo in cui ciascuno vive la sua fedeltà a Cristo. Ma divergenze concernenti la fede, la stessa concezione del matrimonio, mentalità religiose differenti possono costituire una sorgente di tensioni nel matrimonio, soprattutto a proposito dell’educazione dei figli. Una tentazione può allora presentarsi: l’indifferenza religiosa.

Nei matrimoni con disparità di culto lo sposo cattolico ha un compito particolare: «Infatti il marito non credente viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente» (1 Cor 7,14). È una grande gioia per il coniuge cristiano e per la Chiesa se questa «santificazione» conduce alla libera conversione dell’altro coniuge alla fede cristiana. L’amore coniugale sincero, la pratica umile e paziente delle virtù familiari e la preghiera perseverante possono preparare il coniuge non credente ad accogliere la grazia della conversione.

Il consenso, mediante il quale gli sposi si donano e si ricevono mutuamente, è confermato e benedetto da Dio stesso. Dalla loro alleanza nasce, anche davanti alla società, la realtà del matrimonio, che ha stabilità per ordinamento divino. L’alleanza degli sposi è integrata nell’Alleanza di Dio con gli uomini: pertanto l’autentico amore coniugale è assunto nell’amore divino.

Il vincolo matrimoniale è dunque stabilito da Dio stesso, così che il Matrimonio concluso e consumato tra battezzati non può mai essere sciolto. Questo vincolo, che risulta dall’atto umano libero degli sposi e dalla consumazione del matrimonio, è una realtà ormai irrevocabile e dà origine ad un’alleanza garantita dalla fedeltà di Dio.

Gesù stesso rimane con gli sposi, dà loro la forza di seguirlo prendendo su di sé la propria croce, di rialzarsi dopo le loro cadute, di perdonarsi vicendevolmente, di portare gli uni i pesi degli altri e di amarsi di un amore soprannaturale, tenero e fecondo. Nelle gioie del loro amore e della loro vita familiare egli concede loro, fin da quaggiù, una pregustazione del banchetto delle nozze dell’Agnello:

L’amore degli sposi esige, per sua stessa natura, l’unità e l’indissolubilità della loro comunità di persone che abbraccia tutta la loro vita: «Così che non sono più due, ma una carne sola» (Mt 19,6). Essi sono chiamati a crescere continuamente nella loro comunione attraverso la fedeltà quotidiana alla promessa matrimoniale del reciproco dono totale. Questa comunione umana è confermata, purificata e condotta a perfezione mediante la comunione in Gesù, donata dal sacramento del Matrimonio. Essa si approfondisce mediante la vita comune di fede e mediante l’Eucaristia ricevuta insieme.

L’amore coniugale esige dagli sposi, per sua stessa natura, una fedeltà inviolabile. È questa la conseguenza del dono di se stessi che gli sposi si fanno l’uno all’altro. L’amore vuole essere definitivo. Non può essere “a tempo”. Questa donazione reciproca di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e l’indissolubile unità.

La motivazione più profonda si trova nella fedeltà di Cristo alla sua Chiesa. Dal sacramento del Matrimonio gli sposi sono abilitati a rappresentare tale fedeltà e a darne testimonianza. Dal sacramento, l’indissolubilità del Matrimonio riceve un senso nuovo e più profondo.

Può sembrare difficile, persino impossibile, legarsi per tutta la vita a un essere umano. È perciò quanto mai necessario ricordare che Dio ci ama di un amore definitivo e irrevocabile, che gli sposi sono partecipi di questo amore, che egli li conduce e li sostiene, e che attraverso la loro fedeltà testimoniano l’amore fedele di Dio per tutti gli uomini. I coniugi che, con la grazia di Dio, danno questa testimonianza, spesso in condizioni molto difficili, meritano la gratitudine e il sostegno della comunità ecclesiale.

Esistono tuttavia situazioni in cui la coabitazione matrimoniale diventa praticamente impossibile per le più varie ragioni. In tali casi la Chiesa ammette la separazione fisica degli sposi e la fine della coabitazione. I coniugi non cessano di essere marito e moglie davanti a Dio; non sono liberi di contrarre una nuova unione. In questa difficile situazione, la soluzione migliore sarebbe, se possibile, la riconciliazione. La comunità cristiana è chiamata ad aiutare queste persone a vivere cristianamente la loro situazione, nella fedeltà al vincolo del loro matrimonio che resta indissolubile.

Oggi, in molti paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al divorzio secondo le leggi civili e che contraggono civilmente una nuova unione. La Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo («Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio»: Mc 10,11-12), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la Legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione. L’assoluzione mediante il sacramento della Penitenza non può essere accordata se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno della fedeltà a Cristo, e si sono impegnati a vivere in una completa continenza.

Nei confronti dei cristiani che vivono in questa situazione e che spesso conservano la fede e desiderano educare cristianamente i loro figli, i sacerdoti e tutta la comunità devono dare prova di una attenta sollecitudine affinché essi non si considerino come separati dalla Chiesa: devono partecipare in quanto battezzati alla vita della Chiesa

I figli sono il preziosissimo dono del matrimonio e contribuiscono moltissimo al bene degli stessi genitori. Lo stesso Dio che disse: “Non è bene che l’uomo sia solo” (Gn 2,18) e che “creò all’inizio l’uomo maschio e femmina” (Mt 19,4), volendo comunicare all’uomo una certa speciale partecipazione nella sua opera creatrice, benedisse l’uomo e la donna, dicendo loro: “Crescete e moltiplicatevi” (Gn 1,28). Di conseguenza la vera pratica dell’amore coniugale e tutta la struttura della vita familiare che ne nasce, senza trascurare gli altri fini del matrimonio, tende a questo.

La fecondità dell’amore coniugale si estende ai valori della vita morale, spirituale e soprannaturale che i genitori trasmettono ai loro figli attraverso l’educazione. I genitori sono i primi e principali educatori dei loro figli. In questo senso il compito fondamentale del matrimonio e della famiglia è di essere al servizio della vita.

I coniugi ai quali Dio non ha concesso di avere figli, possono nondimeno avere una vita coniugale piena di senso, umanamente e cristianamente. Il loro matrimonio può risplendere di una fecondità di carità, di accoglienza e di sacrificio.

Cristo ha voluto nascere e crescere in seno alla santa Famiglia di Giuseppe e di Maria. La Chiesa non è altro che la «famiglia di Dio». Fin dalle sue origini, il nucleo della Chiesa era spesso costituito da coloro che, insieme con tutta la loro famiglia, erano divenuti credenti. Allorché si convertivano, desideravano che anche «tutta la loro famiglia» fosse salvata. Queste famiglie divenute credenti erano piccole isole di vita cristiana in un mondo incredulo.

Ai nostri giorni, in un mondo spesso estraneo e persino ostile alla fede, le famiglie credenti sono di fondamentale importanza, come focolari di fede viva e illuminante. Per questo motivo la famiglia è una chiesa domestica. Nella famiglia i genitori devono essere per i loro figli, con la parola e con l’esempio, i primi annunciatori della fede, e assecondare la vocazione propria di ognuno, e specialmente quella alla consacracrazione religiosa o sacerdotale.

È qui che si esercita in maniera privilegiata il sacerdozio battesimale del padre di famiglia, della madre, dei figli, di tutti i membri della famiglia, con la partecipazione ai sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con generosa carità. La famiglia è così la prima scuola di vita cristiana e una scuola di umanità più ricca. È qui che si apprende la fatica e la gioia del lavoro, l’amore fraterno, il perdono generoso sempre rinnovato, e soprattutto il rapporto con Dio attraverso la preghiera e l’amore di Dio.

Bisogna anche ricordare quelle persone che, a causa delle condizioni concrete in cui devono vivere – e spesso senza averlo voluto – sono particolarmente vicine al cuore di Gesù e meritano quindi affetto e premurosa sollecitudine da parte della Chiesa e dei sacerdoti: il gran numero di persone celibi. Molte di loro restano senza famiglia umana, spesso a causa di condizioni di povertà. Ve ne sono di quelle che vivono la loro situazione osservando i Comandamenti, servendo Dio e il prossimo in maniera esemplare. A tutte loro bisogna aprire le porte delle famiglie, con carità, amicizia, benevolenza: la Chiesa è casa e famiglia per tutti, specialmente per quanti sono “affaticati e oppressi” (Mt 11,28)».