Fernando Belo, scrittore portoghese, leggendo il vangelo rileva tre “prassi” o tipi di svolte da Gesù: con gli occhi, con le mani e coi piedi. Certamente Gesù operò anche con la bocca, pregando, predicando, scacciando i demoni e operando miracoli con la parola: “Sì, lo voglio, sii guarito”; a Lazzaro: “vieni fuori”. PRASSI DEI PIEDI: nel brano evangelico di oggi si coglie Gesù “in movimento”, prima sul Lago di Tiberiade e poi inerpicandosi su un monte, seguito da numerosa folla. La Prassi dei piedi non era motivata da malattia, per cui Gesù non riusciva a star fermo, come ha scritto uno psicoterapeuta spagnolo, ma dal bisogno di evangelizzare e raccogliere le pecorelle smarrite del popolo di Israele. La Maddalena unse quei santi piedi con olio profumato e li baciò a lungo bagnandoli di lacrime. Solo i chiodi riuscirono a fermare quei piedi, che il Battista diceva di non essere degno nemmeno di toccare per sciogliere i calzari. LA PRASSI DEGLI OCCHI: giunti sul monte, Gesù alzò gli occhi e vide una grande folla che lo aveva seguito fino sul monte. Quando Gesù alzava gli occhi o fissava qualcuno, stava per fare o dire qualcosa, per esprimere amore o disapprovazione; oggi – dopo aver guardato la folla – si rivolge a Filippo per metterlo alla prova; gli dice infatti: “Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?” Anche Andrea usa gli occhi per guardarsi intorno e scorge un ragazzo che possiede 5 pani d’orzo e due pesci; lo nota perché era molto strano che un ragazzo – e non i genitori – possedeva tanto pane senza consumarlo! Gesù ci insegna anzitutto ad aprire e ad alzare gli occhi. Chi non li alza è l’immagine di chi non vede le cose oltre il suo naso, la sua persona, la sua famiglia. Chi alta gli occhi è l’immagine di chi guarda vicino e lontano, per vedere i confini della terra, l’alba e il tramonto, la terra e il mare, ma soprattutto gli altri e, tra gli altri, coloro che arrancano nel camminare e che hanno bisogno di aiuto. LA PRASSI DELLE MANI appare la più importante nei vangeli, per i molti altri miracoli che Gesù opera toccando gli occhi del cieco, la pelle del lebbroso, la mano della fanciulla morta ecc. Oggi Giovanni dice che Gesù “prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano”. I pani e i pesci si moltiplicavano nelle mani di Gesù. Certamente, i miracoli erano frutto della volontà divina di Gesù, che però si serviva degli occhi, delle mani, dei piedi, della bocca, cioè del corpo, per operare il bene. E alla fine offrì tutte le cellule del suo corpo in sacrificio gradito a Dio, per la salvezza degli uomini. Quelle mani, quei piedi, quella bocca, quel cuore, erano parti dell’unica persona umano – divina di Gesù. Perciò, non possiamo comportarci come l’ebreo Ben Chorin che scrisse: “Io sento quella mano fraterna che mi prende e mi invita a seguirlo…
Ma certamente non è una mano divina, ma una mano umana”. Se quelle mani non erano le mani del Figlio di Dio, come avrebbero potuto operare un miracolo così strepitoso? Infatti la gente concluse: “Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo”. Ma vogliamo fare qualche riflessione anche sul seguito del vangelo di oggi. Secondo Marco, Gesù ordinò che la folla si distribuisse a gruppi di 50, “sdraiati” comodamente sull’erba verde (anapesèin, anépesan, anapìpto=mi pongo a giacere). Perché proprio 50? Perché è un multiplo dei 5 pani e un sottomultiplo dei 5000 presenti. Il numero 50 richiama sempre nella Bibbia la gioia, la libertà, come il Giubileo, e la “quintessenza” cercata dagli alchimisti è l’elemento che genera la vita. Le dodici sporte piene: nella Bibbia il numero dodici e i suoi multipli indicano la completezza: le 12 tribù di Israele, i dodici apostoli, i 12 mila salvati per ogni tribù d’Israele. Gesù ordinò agli apostoli: “Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto”. E riempirono dodici cesti, forse perché ciascuno dei dodici apostoli ne raccolse un cesto. Essi, primo nucleo della Chiesa, offrono così un magnifico insegnamento per noi di oggi, che viviamo nell’età dello spreco, mentre molti muoiono di fame. Come ciascuno dei dodici apostoli obbedì al comando di Gesù di raccogliere i frammenti, così ciascuno di noi deve impegnarsi anzitutto a non sciupare, e poi a fare qualcosa affinché la “prassi dello spreco” si trasformi in “prassi della solidarietà”, come fa la Charitas e come fanno molte associazioni di volontariato. Infine, una riflessione sulla decisione del popolo di nominare Gesù loro re. Non a caso Giovanni mette lì una frase: “Era vicina la pasqua, la festa dei Giudei”. Gesù era nato re: “Dov’è il nato re dei Giudei?”, chiesero i Magi; e davanti a Pilato Gesù disse: “Sì, io sono re, ma il mio regno non è di questo mondo”. L’assurdo sta proprio nel fatto che, come dice Giovanni, “era vicina la pasqua”, quando la folla, dimentica dei miracoli di Gesù, chiederà a Pilato di crocifiggerlo. “Crocifiggerò il vostro Re?”. Risposero: “Noi non abbiamo altro re che Cesare”. “Sapendo che venivano a prenderlo per farlo re”, Gesù scomparve, o comunque “si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo”. Ci vien da pensare che fosse triste, perché non era il plauso della gente che gli interessava, né essere nominato re, ma desiderava l’adesione a lui. “Questa gente mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me”. Ora sappiamo che cosa vuole Gesù da noi: “Figlio, donami il tuo cuore!” Il cuore di Gesù era triste soprattutto per un altro motivo, che ci verrà spiegato domenica prossima, quando Gesù rimprovererà quella stessa gente perché ha colto solo un segno, quello che favoriva i loro interessi materiali, e solo per questo vollero che fosse loro re. Domenica prossima Gesù inviterà anche tutti a unirsi vitalmente a Lui tramite l’eucaristia.