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In quel tempo Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più»Una donna giace “in mezzo” al Tempio di Gerusalemme. Giace perché trascinata da un manipolo di scribi e farisei, i quali – dice Giovanni – “la posero in mezzo” (stèsantes autèn en mèso), ai piedi di Gesù. Nel mezzo del tempio stanno così di fronte una donna e un uomo, figure del peccato e dellamisericordia. Pochi minuti prima quella donna stava sola con un uomo per peccare, ora per esserecondannata. Pochi minuti prima godeva il piacere della carne, ora temeva il massacro della carne, sotto una caterva di pietre scagliate da una caterva di peccatori.
La donna, essere marginale per gli ebrei, ora stava “in mezzo”, non per essere osannata, ma per essere emarginata e azzerata per sempre. Come peccatrice doveva giacere in mezzo ai suoi simili, che – finanche essi – presero la distanza da lei e la depositarono accanto al “Santo di Dio”. Il quale santificò la donna con la sua grazia, e respinse tutti gli altri, peccatori impenitenti. Ora quella donna stava nella pace col suo Signore, al centro del tempio, lontana da tutti. Dal momento che nessuno la condannò, e dal momento che Gesù la perdonò, balzò al centro del tempio della storia, ed è lì da venti secoli, a gridare che l’adulterio è peccato e merita la morte, ma la misericordia di Dio è più potente del peccato e della morte. Nessuno, dunque, condannò la donna. Da allora nessun cristiano condanna la donna e le donne, perché il cristiano, come Cristo, pone la donna non “in mezzo” ma “al centro”, come sostegno dell’uomo e come perfezione della creazione. Infatti, dopo aver creato Eva, abbagliato dal suo fascino, Dio smise di creare; e dopo aver reso Maria la benedetta fra tutte le donne, Dio ha reso la donna Regina della nuova creazione. L’adultera, di cui parla il vangelo di oggi, è figura della prima Eva in quanto peccatrice, ed è figura della seconda Eva, “graziata” (kecharitomène), accanto al secondo Adamo, Cristo, al centro del Tempio di Dio. Ogni donna battezzata in Cristo, si redime dal peccato e aderisce a Dio tre volte santo. Ma a quale condizione si avvera ciò? Accogliendo l’ultima parola che risuona nel brano evangelico di oggi: “non peccare più”. Sia l’uomo, sia la donna, sono “al cento” del cuore e dei pensieri di Dio, a condizione che si impegnino a non peccare più, perché il peccato porta alla morte, la grazia conduce alla vita. C’è chi dubita che ciò sia possibile: non peccare più. Si dice che, se lo spirito è pronto, la carne è debole. Ma già nell’Antico Testamento, tramite Isaia, Dio promise che – con Cristo – avrebbe rinnovato la faccia della terra: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose. Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto. Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le lodi” (prima lettura). San Paolo, nella seconda lettura, pone se stesso come esempio della strada da seguire per rinnovare se stessi: considerare spazzatura tutti i piaceri della carne, e rendersi partecipi delle sofferenze di Cristo, lasciandosi conquistare da Lui, da Cristo, piuttosto che dai canti evanescenti delle sirene di questo mondo. San Paolo ci invita anche a guardare al futuro, “al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù”. Ma soprattutto, San Paolo ci invita ad aver fede e fiducia in Cristo. Resta sempre vero ciò che scrisse San Giovanni: “Tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza, ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno” (1Gv>2,16-17)
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P. Fiorenzo Mastroianni