Vangelo
Lo Spirito Santo vi insegnerà ogni cosa.
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 14,15-16.23b-26
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre.
Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».
Parola del Signore.
Poco prima di morire, Gesù disse una parola che, come sempre, può essere variamente interpretata. La parola fu “tetèlestai”, che ordinariamente viene tradotta “tutto è compiuto”, che a sua volta significherebbe che Gesù, mentre moriva sulla croce, fece un resoconto della sua vita, dalla nascita alla crocifissione, e poté dire a Dio Padre: “Ho fatto tutto ciò che mi hai comandato”. Insomma Gesù avrebbe guardato al suo passato, anziché al suo presente e futuro.
Ma in realtà non tutto era compiuto, ma restava ancora qualcosa da fare, come la risurrezione, senza la quale “sarebbe vana la nostra fede”, come dice san Paolo; e c’era ancora una promessa rimasta inevasa fino a quel momento: il dono dello Spirito all’umanità, che Egli emise non prima ma dopo di aver detto “tutto è compiuto”.
Perciò quel termine greco può essere inteso anche come “arrivo al traguardo”, cioè al vero scopo della sua vita terrena, o al momento in cui doveva emettere lo Spirito, come frutto della sua morte, per cui Gesù aveva detto: “E’ bene che io me ne vada, altrimenti non viene a voi lo Spirito”.
Infatti l’evangelista Giovanni non scrisse che Gesù morì, ma che “emise lo Spirito”: espressione che i Padri della Chiesa intendono esattamente nel senso che Gesù donò lo Spirito Santo.
In realtà Gesù, anche nel cenacolo – la sera di pasqua – “soffiò” sugli apostoli e donò loro lo Spirito. Si trattava però – in ambedue i casi, sulla croce e nel cenacolo – di anticipi o caparre, più che della pienezza del dono dello Spirito, che avvenne invece 50 giorni dopo la morte e risurrezione di Gesù, cioè a Pentecoste. Sia sulla croce che nel cenacolo, Gesù stava ancora sulla terra, e non era “tornato al Padre”. Egli stesso, come ricordato sopra, affermò: “Se non me ne vado, non viene a voi lo Spirito”,
Nessuno dei quattro vangeli contiene la narrazione del momento in cui lo Spirito scese sugli apostoli, ma soltanto Luca lo descrisse negli Atti degli Apostoli, quando lo Spirito si rese presente sotto forma di lingue di fuoco sul capo degli apostoli e di Maria, madre di Gesù, e come vento impetuoso che spinse i pellegrini gerosolomitani verso il cenacolo.
Giova molto riflettere su queste due forme o modi di apparire dello Spirito: lingue di fuoco e vento impetuoso.
- Lingue di fuoco; Gesù promise agli apostoli il battesimo “nello Spirito santo e fuoco”. L’espressione è una endiadi, che consiste nel dire una stessa cosa con due parole, come ad esempio “nella notte e nel buio”, che corrisponde a “nella notte buia”; per cui l’espressione suddetta equivale alla seguente: “in Spirito Santo che è fuoco”. Lo Spirito Santo ama presentarsi come fuoco, perché il fuoco cambia radicalmente la materia ma non la distrugge: cambia il legno in cenere, ma non lo annulla. Così fa lo Spirito con l’uomo battezzato: lo rispetta ma lo trasforma radicalmente, benché agli occhi mortali sembra non sia avvenuto nulla, ad esempio dopo il battesimo o la cresima.
- Vento impetuoso: mentre nel cenacolo lo Spirito apparve sotto la forma di lingue di fuoco e trasformò i discepoli vili in apostoli accesi, fuori del cenacolo, o meglio su gli uomini delle strade di Gerusalemme, si presentò sotto la forma di vento impetuoso, che li spinse tutti verso il “luogo del fuoco”, il cenacolo, come per invitarli con forza all’ascolto della Parola che salva e brucia, elargita dagli apostoli in molteplici linguaggi.
Nella seconda lettura san Paolo fa notare che, finché siamo sulla terra, siamo certamente figli di Dio nello Spirito che grida in noi e con noi “Abbà, Padre”, e definisce ancora “primizia” anche il dono di pentecoste, mentre soffriamo le doglie del parto, in attesa della redenzione totale, dell’anima e del corpo, nella gloria infinita del cielo.
Non a caso l’evangelista accenna alla presenza di Maria nel cenacolo, insieme con gli apostoli, come per dirci che, se è vero che fu lo Spirito a insegnare alla Chiesa nascente a chiamare Dio “Abbà, Padre”, è anche vero che è Maria, in concreto, a sillabarci – come fa ogni buona madre col suo bambino – il nome dolcissimo di “Pa-pà, Pa-pà, Pa-pà!”….
P. Fiorenzo Mastroianni


