Dal vangelo secondo Matteo

Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba. Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve. Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte. L’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto». Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno».

Secondo la narrazione di Giovanni, all’inizio dell’ultima cena, Gesù lavò i piedi ai dodici apostoli, e poi disse: “Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Ma se io, il Maestro e il Signore, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni gli altri” (Gv 13, 13s). E lo ribadì dicendo: “Vi ho dato un esempio”. Notiamo intanto l’articolo: “’o didàskalos kai ‘o kùrios”: Gesù non è un signore e un maestro qualunque, ma è “il Maestro e il Signore” per eccellenza, anzi unico, come disse esplicitamente quando vietò di chiamare altri con questi titoli, perché – disse – “uno solo è il vostro Maestro, il Cristo”. Secondo la narrazione di Matteo, poco dopo aver lavato i piedi ai Dodici, Gesù rivelò che uno di loro lo avrebbe tradito, e allora tutti gli apostoli chiesero a Gesù chi era costui, dicendo. “Signore, sono forse io?”. Solo Giuda disse: “Maestro, sono forse io?”. Chiediamoci perché undici apostolo lo chiamano Signore, e uno solo – Giuda – lo chiama Maestro. Come spiegheremo qui appresso, il termine Signore includeva la fede in Gesù-Dio, e Giuda non ci credeva, se lo aveva già tradito col cuore. Giuda era detto iskariota, dalla città di Keriot, o forse il termine era una ebraicizzazione del latino “Sicarius”, per dire che Giuda era un combattente nazionalista, nemico dei romani, e tradì Gesù perché non riuscì a farlo schierare dalla sua parte. Gli ebrei, per dire Maestro, dicevano Rabbì, che andrebbe meglio tradotto con “Grandissimo” o “Eccellentissimo” o “Eminentissimo”. Con tale termine indicavano coloro che erano i Maestri della Legge, come noi oggi indichiamo i Vescovi, i Cardinali, ecc. Luca non usa mai il termine Rabbì, ma “Epistàta”, cioè Capo (Lc, 5,5 ecc.) L’ultima cena precedette, dunque, la morte del Maestro per eccellenza, Gesù, la cui vita – dalla nascita alla morte – fu tutta un insegnamento, anzi un esempio da imitare. Gesù infatti fu Maestro della parola, ma soprattutto fu Maestro di vita. L’altro termine che risuonò nell’ultima cena fu Signore: in ebraico Adonài, che si usava al posto di Jahvèh, al quale quindi equivaleva, quando si riferiva a Dio; ma si usava anche come titolo dato agli uomini; la traduzione dei Settanta scrive Kurios, che quindi significa Jahvè! In greco, infatti, per dire Signore, si usavano i termini Despòtes e Kùrios. Despòtes aveva più il senso di Padrone, Kyrios aveva più il senso di Capo, cioè costituito in Autorità. Nel Nuovo Testamento il termine Kùrios si trova più di 500 volte, usato nei sensi suddetti, ma nella maggioranza delle volte viene riferito a Gesù, nel senso soprattutto di Adonai, cioè Signore Dio. Nella lettera ai Filippesi 2,5-11 leggiamo che il termine Signore fu dato a Gesù come “il nome che è al di sopra di ogni altro nome”, a seguito della sua obbedienza nella passione e morte. Richiama quindi l’affermazione: “E’ stato dato a me ogni potere, in cielo e in terra”. Signore equivale a “Signore della gloria”, oggetto della nuova fede, di cui Cristo è l’istitutore e perfezionatore, secondo Ebrei 12,2, e Gal 3,25. Nella Lettera a Timoteo 1,12 Paolo afferma che la sua precedente fede ebraica era ignoranza e “apistia”, cioè non fede. Quale è la conclusione per noi che ci gloriamo di essere cristiani? La fede in Cristo-Maestro e Signore non è un optional, ma una necessità per la salvezza. Gesù è la Via, la Verità e la Vita, unico accesso al Padre. Senza le fede che Gesù è il Figlio di Dio non c’è salvezza. “Se non credete che IO SONO – disse Gesù – morirete nei vostri peccati” (Gv 8,24). “Senza di me non potete fare nulla” (Gv 15,5), perché Gesù è la vite e noi i tralci. “Abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me” (Gv 14,1). Per salvarsi, dunque, non basta credere in un Dio generico – come avviene in tante altre religioni – ma nel Dio rivelato da Gesù: Uno e Trino. Un Dio immenso, che si fa piccolo lavando i piedi agli uomini, per darci un esempio.

P. Fiorenzo Mastroianni

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