Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
Parola del Signore
To plèroma tou chrònou, cioè la pienezza del tempo, avvenne duemila anni fa. L’espressione fu usata da Paolo in Gal 4,4 per indicare quel momento fissato da Dio fin dall’eternità. Quel momento fu pre-visto da Abramo, il quale – come disse Gesù – vide questo mio giorno ed esultò di gioia (èiden kai exàre). Giunto quel giorno e quel momento, l’Arcangelo Gabriele apparve a Maria nella città di Nazaret in Galilea, e la prima parola uscita dalla sua bocca fu: “Rallegrati, Maria”. Subito dopo elencò i motivi per cui Maria doveva rallegrarsi:
a) per se stessa, perché kecharitomène, graziata e nuova Eva;
b) per lo Spirito Santo che l’avrebbe resa sua sposa;
c) per il frutto dell’unione sponsale, Gesù, il quale era “il santo di Dio” “Figlio di Dio”;
d) per Gesù erede del trono di Davide, Re eterno e universale;
e) non ultima, la nascita di Giovanni Battista dall’anziana madre Elisabetta.
Luca ci dice che Maria accettò la “proposta” dell’Arcangelo (“avvenga in me secondo la tua parola), ma non dice che esultò di gioia, ma che anzi si turbò (il pittore Lorenzo Lotto vede Maria che fugge “spaventata” insieme col gatto). In realtà Maria si turbò a causa dell’apparizione e dello strano saluto, ma esultò quando “il verbo si fece carne”. Maria esultò alle parole dell’angelo, come afferma chiaramente nel Magnificat, dove Maria dice esattamente: “L’anima mia magnifica il Signore, e il mio spirito “esultò” in Dio mio salvatore, perché “guardò” all’umiltà della sua serva, e perché “fece” in me grandi cose. I verbi greci egallìasen (esultò), epèblepsen (guardò) e epòiesen (fece) sono aoristi, e non è necessario dar loro valore di presente. Il pensiero di Maria, a casa di Elisabetta andò al momento in cui Dio “fece” (epòiesen) grandi cose in lei nel giorno dell’annunciazione. Esultò Abramo, esultò Maria, esultò Elisabetta, esultiamo anche noi per le grandi cose operate da Dio in Maria e in Elisabetta non solo per loro ma anche per tutti noi. Osserviamo come l’Arcangelo prospettò agli occhi di Maria soltanto i motivi di gioia, nascondendole che il suo figlio era destinato a morire sulla croce alla giovane età di 33 anni. Se ci chiediamo il perché, è facile rispondere che non era quello il momento; non poteva turbare la gioia che le aveva augurata poco prima. Il vecchio Simeone glielo dirà alcuni mesi dopo, nel tempio, dicendole: “Anche a te una spada trafiggerà l’anima”. Ma oltre al motivo di opportunità, è possibile che l’Arcangelo volle indicare ciò che sostengono i teologi francescani, che cioè la morte di Gesù non apparteneva al piano primitivo di Dio, cioè l’incarnazione del Verbo anche senza il peccato di Adamo. Nel piano primitivo di Dio entrava solo la creazione degli esseri umani e l’amore paterno di Dio verso di loro, fino al punto di diventare una sola cosa con loro, facendosi uomo. Il Verbo si sarebbe incarnato anche senza il peccato di Adamo, per dare gioia agli uomini e per gioire Egli stesso, che dall’eternità fu il “Dio con noi”. Gesù, infatti, rivelò che Dio amò tanto il mondo da dare il suo figlio unigenito, non perché morisse, ma per dare la vita divina agli uomini attraverso non la croce ma l’Eucaristia. Senza il peccato, Dio si sarebbe incarnato per avere un corpo mangiabile dagli uomini e diventare Lui. Tuttavia, anche i teologi che sostengono la dottrina più comune, cioè che “di fatto” il Verbo si fece carne a causa del peccato e per togliere il peccato, trovano in ciò motivo di gioia, se è vero che la Chiesa a pasqua canta: “O felix culpa”, che meritò un tale Redentore. Il giorno dell’annunciazione è il punto alfa, cioè l’inizio della nuova creazione, poiché il Verbo si fece carne, prodromo del natale a Betlemme e dell’istituzione dell’Eucaristia a Gerusalemme. L’incarnazione, cioè l’umanizzazione di Dio è l’evento più incredibile per chi conosce la grandezza di Dio e la miseria dell’uomo. Ma proprio per questo, Gabriele si affrettò a ricordare che “tutto è possibile a Dio”, perché tutto è possibile all’Amore. E se la passione e morte di Gesù fu uno scandalo per gli ebrei e una stoltezza per i pagani, l’incarnazione è una pazzia d’amore per tutti, e oggetto d’invidia da parte degli angeli. S. Anselmo si chiese “Cur Deus homo?”. Forse se lo chiese anche san Paolo e vide l’incarnazione come l’anello mancante per completare il cerchio e scrisse: tutto è per l’uomo, l’uomo per Cristo e Cristo per Dio. L’Uomo-Dio è la sintesi del pleroma: se prima di incarnarsi c’era in lui pan to pleroma tes theotetos (la pienezza della divinità), dopo l’incarnazione ci fu in lui la pienezza del cielo e della terra, dell’eternità e del tempo, della materia e dello spirito.