I SENSI DELLA SCRITTURA NEI VANGELI DOMENICALI

DOM. XVII T.O.

 

LETTERA (Giovanni 6,1-15): il brano evangelico odierno ci mostra Gesù con gli apostoli sulla montagna mentre, seduto, insegna ai suoi discepoli. Alzati gli occhi, vede una marea di gente, e si preoccupa del loro appetito materiale. Filippo notò che neanche 200 denari potevano bastare per dare un pezzetto di pane a ciascuno. Andrea dice di aver visto un ragazzo con 5 pani d’orzo e due pesci, “ma che cos’è questo – disse – per tanta gente?”. Gesù ordinò di far sedere la gente sull’erba che abbondava in quel luogo. Erano circa 5000 uomini. Gesù prese i 5 pani, li benedisse e li diede da mangiare a tutti, finché si saziarono. Lo stesso fece coi pesci. Alla fine fece raccogliere gli avanzi in 12 canestri. Allora la gente cominciò a esclamare: “Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo”, e decisero di acclamarlo re. Ma saputo questo, Gesù si ritiro da solo sul monte.

ALLEGORIA: il personaggio più allegorico è il bambino (paidàrion=ragazzetto) che, unico tra tutti, ha 5 pani e 2 pesci; un bambino senza genitori né tutori, al quale Gesù – con apparente crudeltà – toglie tutto quello che ha. D’altra parte, 5 pani e 2 pesci sono troppi per un bambino che dimostra di non aver avuto mai appetito. A differenza dei 5000 adulti. Questo bambino è certamente figura di Gesù stesso, l’innocente, unico santo, unico capace di venir incontro alla massa enorme dell’umanità affamata di Dio. Del resto, il successivo miracolo della moltiplicazione dei pani è allegoria dell’Eucaristia, in cui Gesù dà letteralmente da mangiare tutto se stesso a miliardi di persone da 2000 anni. Anche il pesce è stato sempre il simbolo di Gesù, perché in greco si dice ICHTUS, anagramma di Iesùs Christòs Theoù Uiòs Sotèr, cioè Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore.

MORALE: se ci chiediamo con quale criterio gli evangelisti hanno selezionato alcuni dei molti miracoli operati da Gesù, e perché Giovanni ci ha tramandato questo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, siamo forse vicini al vero se riteniamo che scelsero quelli più “significativi”, cioè più simbolici, al fine di indurre le intelligenze a riflettere e le volontà ad adeguarsi. Adeguarsi: fare cioè ciò che ha fatto Gesù, se non operando miracoli, certamente donandosi fino a farsi mangiare, e certamente mostrandosi attenti ai dolori e ai bisogni degli altri, specie alla fame nel mondo. Senza questo adeguamento sarebbe inutile leggere il vangelo. L’apice della perfezione è l’amore, che ha come simbolo il cuore materno, come ideale l’eroismo estremo, come prassi i piccoli gesti, il tutto supportato dalla fede e alimentato dalla speranza. Ma quale speranza? Si dice che non è tutt’oro quello che luccica, ed è vero che non sempre si agisce per altruismo, e si può morire per una gloria fatua. Gesù andò via, dopo aver operato il miracolo, perché volevano proclamarlo re. Aveva agito per puro amore, per essere di esempio di generosità a noi.

ANAGOGIA: anagogia vuol dire elevazione, e il miracolo qui sopra narrato avviene in alto, in montagna, tra una conversazione solitaria di Gesù con gli apostoli prima del miracolo, e un ritirarsi solitario di Gesù senza nessuno, dopo il miracolo. Il portarsi a meditare e pregare in luoghi elevati e solitari è l’anagogia previa di ogni altra anagogia e di ogni altro superamento di se stessi, per non essere “plateali”. Il miracolo di Gesù avviene tra due momenti di meditazione. Così Gesù ci insegna a fare come le rondini, che volano in alto e scendono in basso per risalire di nuovo verso il cielo, il loro habitat quotidiano di tutta l’estate!

P. Fiorenzo Mastroianni, OFM Cappuccino

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