In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».
Gli storici dicono che i cristiani dei primi tempi e per tutto il medioevo vivevano sub specie aeternitatis, cioè avendo sempre gli occhi verso la fine della vita e verso l’altro mondo. Dall’umanesimo ad oggi l’umanità sembra essersi addormentata per quanto riguarda l’al di là, ma appaiono vigilantissimi su ciò che riguarda l’al di qua. Solo in questi ultimi decenni l’umanità sembra si sia messa in attesa della fine del mondo o di questo mondo, e ha quasi paura. Si parla sempre più di visioni, di veggenti, di apparizioni. Finanche la teologia, come diceva papa Ratzinger, è ora più aperta al tema dell’escatologia, cioè degli ultimi tempi, e molti trattati e studi tendono a dimostrare che tutto l’insegnamento di Gesù nei vangeli riguarda l’escatologia, nel senso che con la sua venuta si aprì l’età della fine, che si chiuderà con la sua seconda venuta. Pertanto l’epoca della cristianità è l’epoca della speranza in un mondo futuro di pace e di giustizia, di gioia e di beatitudine, in un corpo non più terreno ma celeste, poiché – come assicura san Pietro – “Dio vuole tutti salvi” nei cieli nuovi e nella terra nuova, nostra vera patria. Papa Francesco ha detto più volte che stiamo assistendo a un passaggio epocale, e questa che stiamo vivendo non è tanto l’epoca dei cambiamenti ma è il cambiamento di un’epoca. Il vangelo di questa prima domenica di avvento e delle domeniche che ci preparano al natale richiamano la nostra attenzione sui temi escatologici. Il brano evangelico di Marco 13,33-37 sembra riassumere tutto ciò che Gesù ha insegnato nelle ultime domeniche dell’anno A. Nei pochi versi del vangelo odierno ricorre 3 volte il termine “vegliate”, 1 volta “addormentati”, 1 volta “fate attenzione” (che però manca nel testo greco, mentre il testo latino aggiunge “orate”). Tutti ci rimandano alla parabola delle dieci vergini, di cui 5 si addormentarono tranquille perché sagge e previdenti, e 5 si addormentarono di un sonno che le escluse dalla festa di nozze. Poiché nel vangelo odierno ricorre anche il concetto dei compiti lasciati dal padrone a ciascuno dei suoi servi, ci ricorda la parabola dei talenti. Ma ritorna soprattutto il concetto del momento – ignoto a tutti – del suo ritorno: alla sera, a mezzanotte, all’alba (canto del gallo), all’aurora (mattino), a mezzogiorno, che richiamano le varie età dell’uomo: ignoriamo se moriamo alla sera della nostra vita, cioè nella vecchiaia, a mezzogiorno (cioè in gioventù), al mattino (adolescenza) o persino all’alba, cioè nell’infanzia. Le parole contenute in questo piccolo brano evangelico sono rivolte da Gesù prima di tutto ai suoi discepoli, ma anche a tutti, come egli stesso dice: “Quello che dico a voi lo dico a tutti”. Infatti, Gesù sta rispondendo a delle domande di Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea, come appare dall’inizio del capitolo 13.
Ed è riferendosi ai discepoli o apostoli che egli usa due verbi adatti particolarmente a loro:
a) BLÈPETE, cioè guardate, tenete d’occhio, come fa il pastore con le sue pecore, particolarmente di giorno;
b) AGRUPNÈITE, che etimologicamente significa “in agro dormientes”, e si può tradurre in due modi:
-“dormite come se foste accampati”, come il pastore o il soldato di notte, che hanno un orecchio sempre attento ai sonagli delle pecore o all’arme per un pericolo; in altri termini: il vostro sonno resti vigile come quello dei pastori o dei soldati.
-“dormite come dorme la terra”, la quale sembra dormire ma si a prepara a fiorire a primavera.
Diremmo allora che il primo verbo – blèpete – si riferisce all’operosità dei pastori durante il giorno, il secondo – agrupnète – alla stessa operosità durante la notte. Ma cosa vuol dire “vegliate”?
a) la veglia operosa e l’attesa operosa hanno significati diversi per i servi, per i discepoli e per il portiere: i servi devono trafficare i talenti, i discepoli del vangelo devono predicarlo a tutte le creature, il portiere deve impedire che entrino in casa i ladri. Quando Gesù parlava, li aveva tutti davanti: i servi erano le folle, i discepoli erano i Dodici, il portiere era Pietro; in questo momento, i servi siete voi lettori o ascoltatori, il discepolo sono io – che vi parlo o scrivo – il portiere è il successore di Pietro, il Papa.
b) vegliare, oggi che comincia l’avvento o l’attesa del Signore, significa attendere senza sedersi, ma camminando verso il Signore che viene, e quindi:
-senza attardarsi o perdere tempo nel raccogliere fiorellini sulle siepi;
-badare a ciò che serve per la vita eterna:
-osservare i divini comandamenti,
-praticare le opere di misericordia,
-scegliere la parte migliore, specie la preghiera costante
-e senza stancarsi mai;
-pensare la vita come un “andare incontro al Cristo che viene” o ritorna per prenderci con Lui.
Isaia nella prima lettura dice che il Signore va incontro “a quelli che praticano con gioia la giustizia”. Quindi bisogna intendere bene il termine “attesa” con cui spesso traduciamo il termine “avvento”; attendere nella perseveranza, con “coraggio e generosità”; -in questa attesa o cammino verso il Signore, dobbiamo nutrirci spesso dell’Eucaristia, senza la quale si perdono le forze ed anche la vita. L’Eucaristia è l’olio che alimenta la lampada delle virtù. Gesù parla soprattutto a coloro che hanno responsabilità su gli altri, specie i genitori verso i figli, i sacerdoti verso i fedeli, ma anche gli uni verso gli altri, perché ciascuno è responsabile del proprio fratello.
P. Fiorenzo Mastroianni

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