In quel tempo, 1 Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2 dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3 Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4 Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5 Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: Allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6 si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7 dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. 8 Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9 E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10 E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11 Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12 Chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.
“Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei… Essi dicono e non fanno… Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati”… Riesce agevole applicare le parole del vangelo di oggi ai membri della “Chiesa docente”, cioè al Papa, ai Vescovi e ai Sacerdoti. Ma è chiaro che Gesù non poteva riferirsi a loro perché non esistevano ancora, ma si riferiva ai gerarchi delle comunità ebraiche del suo tempo, in special modo agli scribi e farisei. Erano essi che avevano occupato la Cattedra di Mosè, imponevano precetti gravosi ai fedeli, ma essi non li osservavano per nulla. Usavano l’autorità per il loro personale prestigio e non per la gloria di Dio. In altre circostanze, Gesù descrisse quegli scribi e quei farisei come “sepolcri imbiancati”, cioè belli di fuori ma pieni di putredine nel cuore. Ai suoi discepoli–apostoli e laici- Gesù insegnò a non imitare quegli scribi e farisei, evitando persino i titoli – ad essi molto cari – di “Maestro”, “Padre”, “Guida”, perché soltanto Dio è Padre e soltanto Gesù è Maestro e Guida. Noi siamo tutti uguali e fratelli. Precisato questo, tuttavia, è bene che ciascuno di noi applichi a se stesso le parole di Gesù.Atutticolorochesiedonoincattedra,cheoccupanopostidiresponsabilità–cioè il Papa, i Vescovi, i Sacerdoti, ed anche i capi politici, i capi di aziende e di famiglia, i docenti nelle scuole ecc. – Gesù ordina di:
1) essere coerenti con ciò che insegnano o pretendono dagli altri;
2)non far pesare sugli altri la propria autorità, che va intesa sempre come servizio;
3) operare per la gloria di Dio anziché per la propria, bramando titoli onorifici ecc.
Ai sudditi e dipendenti, Gesù raccomanda due cose:
1) fate e osservate (poièsate kaìterèite) ciò che insegnano coloro che sono costituiti in autorità, perché rappresentano Dio.
2) non fate (mè poièite)ciò che fanno, imitando i loro errori; come a dire: se il medico si droga, tu non imitarlo, ma ascoltalo quando dice che la droga uccide.
3) quanto all’ordine di non chiamare nessuno Padre o Maestro o Guida, si può ritenere che Gesù non abbia voluto dettare una norma perentoria, ma ha voluto inculcare l’idea che solo Dio è padre e solo Gesù è Maestro e Guida. Per questo motivo san Paolo pretese di titolo di Padre quando scrisse ai Corinzi: “Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il vangelo” (1Cor 4,15). E ai Tessalonicesi ricordò di essere stato in mezzo a loro “come una madre che ha cura dei propri figli” (1Ts 2,7b). E per questo Maria santissima, rivolta a Gesù dodicenne, disse: “Ecco, tuo padre ed io ti abbiamo cercato”, ben sapendo che il padre del Fanciullo era solo Dio, come lei era la madre secondo la natura umana. Tutte le parole dette da Gesù in questa liturgia domenicale conducono al seguente avvertimento rivolto a tutti: “chi si esalta sarà umiliato, chi si umilia sarà esaltato”. IL PRIMO ATTO DI UMILTÀ consiste nell’accettare le parole dette da Dio al profeta Malachia: “Io sono un re grande e il mio nome è terribile fra le nazioni” (Ml 1,14b). “Chi è come Dio?”, disse l’Arcangelo Michele a Lucifero, quando fu precipitato dal cielo come una folgore a causa del suo orgoglio, ritenendosi uguale a Dio. IL SECONDO ATTO DI UMILTÀ consiste nel “rendere gloria” a Dio, riconoscendoci sue creature, se è vero che Dio disse ai sacerdoti dell’Antico Testamento: “Ora a voi questo monito, o sacerdoti. Se non mi ascolterete e non vi darete premura di dare gloria al mio nome, dice il Signore degli eserciti, manderò su di voi la maledizione” (Mal. 1,2). IL TERZO ATTO DI UMILTÀ consiste nel riconoscerci tutti uguali e nell’essere leali con tutti, eliminando la perfidia, il malanimo, i rancori: “Non abbiamo forse tutti noi un solo padre? Forse non ci ha creati un unico Dio? Perché dunque agire con perfidia l’uno contro l’altro?”. Se Paolo si comportò come tenera madre verso i cristiani di Tessalonica, e desiderò di donar loro la sua stessa vita, anche noi dobbiamo fare lo stesso per i nostri amici e nemici. Paolo lavorò “notte e giorno per non essere di peso ad alcuno”. Questa è l’umiltà e questa è la carità di cui parla sempre Gesù nel suo vangelo e Paolo nelle sue lettere, che noi cristiani dobbiamo osservare, se vogliamo attuare la parola di Dio in noi.
P. Fiorenzo Mastroianni, OFM Cappuccino

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