LETTERA (Luca 17,5-10): Gesù chiamò 12 uomini “perché stessero con lui”, per prepararli a continuare la sua opera nel mondo: “Ne costituì dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare” (Mc 314s). Per questo, Gesù stesso li chiamò “apostoli”, cioè inviati. I Dodici – perciò – lasciarono la famiglia e l’attività professionale, per seguire il Maestro dovunque andava, ascoltando i suoi insegnamenti e assistendo ai suoi molteplici miracoli. Tutti pensiamo che essi avevano un amore e una fede incondizionata verso Gesù. Ma non è così, specie quanto alla fede. Sappiamo dall’atteggiamento di Tommaso e dei discepoli di Emmaus quanto fossero “tardi di cuore nel credere alle Scritture” (o anòetoi kai bradèis tè kardìa, Lc 24,25); sappiamo come Gesù rimproverò il capo, Pietro, per la sua “poca fede” (oligòpiste, Mt 14,31), ed elogiò la “grande fede” (o gùnai, megàle sou ‘e pìstis, Mt 15,28) di una donna cananea, cioè pagana, dicendo di non averne trovata tanta in tutto il popolo di Israele!… Oggi l’evangelista Luca – che era un pagano convertito a Cristo – ci riporta la preghiera di tutti gli apostoli: “Signore, aumenta la nostra fede” (pròsthes emìn pìstin). Dalla risposta di Gesù si potrebbe concludere che quei poveri pescatori non avevano neanche tanta fede quanto un granellino di senapa; dice infatti Gesù: “Se voi aveste tanta fede quanto un granellino di senapa (òs kòkkonsinàpeos), potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe”. Poi Luca, apparentemente, continua il suo vangelo senza legame col discorso sulla fede. Infatti, narra come Gesù raccomandò agli apostoli di ritenersi “servi inutili”, senza alcuna pretesa verso Dio, dopo di aver fatto “tutto quello che vi è stato ordinato”. Ma da San Giovanni sappiamo che tutto ciò che l’uomo deve fare è credere: “Questa è l’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato” (toùto estin tò èrgon tou Theoù, ìna pistèuete èis òn apèsteilen ekèinos, Gv 6,29). Purtroppo, ancora dopo la sua risurrezione, Gesù, apparendo agli Undici, li rimproverò per la incredulità (apistìan) e la loro durezza di cuore (sklerokardìan, Mc 16,14).
ALLEGORIA: il brano evangelico di oggi non contiene altra allegoria che quella dell’albero di gelso (Mc 11,23 parla di montagna), che rappresenta tutta la natura materiale, su cui l’uomo di fede può dominare. Ma simboleggia anche il Cristo, albero della vita (“io sono la vite, voi i tralci”), significando che la fede vera ha potere anche su Dio, unico autore di tutti i prodigi.
ANAGOGIA: anagogia significa guardare in alto, guardare avanti, al futuro. Ricordiamo la promessa di Gesù: “chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno” (Gv 11,26).