La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 6,51-58
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Parola del Signore.
Nella lunga narrazione della moltiplicazione dei pani e dei pesci, che comprende tutto il capitolo sesto del vangelo di Giovanni, Gesù dice due volte che è lui a dare agli uomini il pane disceso dal cielo: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna, e che il Figlio dell’uomo vi darà” (v. 27); “e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (v. 51). E altrettanto esplicitamente Gesù dice che non solo ci darà il pane, ma che il pane è lui medesimo, è la sua carne, il suo sangue. E conferma che la sua carne è vero cibo e il suo sangue è vera bevanda. E infine conferma che questo pane è disceso dal cielo, e che dà la vita eterna a coloro che lo mangiano. Il pane offerto da Gesù è un pane di cui non si è mai sentito parlare, e perciò la gente esclamò: “Signore, dacci sempre di questo pane”. Dopo aver detto tutte queste cose circa il pane dato da lui stesso, al versetto 32 Gesù dice: “In verità vi dico, non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero”. Sembra una contraddizione con quanto detto in precedenza. Ma è certo che Gesù non avrebbe avuto né carne né sangue se non li avesse ricevuti, come tutti gli esseri umani, da un Padre e da una Madre, cioè da Dio e da Maria: “Il Padre ti coprirà con la sua ombra”, disse l’angelo a Maria, e il Verbo si fece carne. Non a caso, nel brano evangelico odierno risuona il nome di Maria, la madre di Gesù, la “madia” nella quale Dio Padre impastò il pane che divenne corpo di Gesù Cristo. L’eucaristia è il pane del Padre e della Madre, ed è Gesù! Dunque, la carne che mangiamo nell’eucaristia è carne di Gesù, ma è un dono del “Padre nostro” e della “Madre nostra”. Quando la gente volle disprezzare Gesù dicendo di conoscere sua madre (Gv 6, 43), non sapeva di aver indicato la fonte fisica di quel sangue e di quella carne che Gesù prometteva di donare a chiunque credeva in lui. Ora vogliamo ricordare che cosa disse un giorno Gesù: “Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce gli darà una serpe?”. E Gesù aggiunse: “Se voi dunque. che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono!” (Mt 7,9-11). Dio Padre dà solo cose buone a noi suoi figli, e ce ne ha date in misura incalcolabile: dal pane al vino, dall’acqua all’aria e a miliardi di cose belle, buone, saporite, profumate ecc. ecc. Cose buone, ma in che senso? Tutte le cose che Dio ci ha date servono a farci vivere nella gioia per alcuni decenni. E poi? Gesù ci spinge a pensare al poi, raccomandandoci di impegnarci con tutte le forze per qualcosa – anzi l’unica – che permette di prolungare la vita per l’eternità: l’Eucaristia, la vera “cosa buona” offerta e donata a noi dal nostro Padre celeste e dalla nostra Madre celeste. Nessun padre terreno, al figlio che gli chiede il pane, dà una serpe o uno scorpione, che gli darebbero la morte. L’Eucaristia è pane che dà la vita e non è serpe o scorpione che danno la morte. E tuttavia, san Paolo avverte che, se uno mangia indegnamente il corpo il Cristo, mangia e beve la sua condanna. Mangia e beve la morte eterna! Dunque, la gente nominò la Madre, Gesù nominò il Padre, il quale pose sul suo corpo il proprio “sigillo”, cioè la propria immagine o segno di appartenenza. Non è l’unica volta che la gente – per disprezzare Gesù – nomina i suoi parenti, in modo speciale nelle due due sue patrie: a Nazaret, dove era cresciuto, e a Cafarnao dove Gesù si trasferì nel triennio di vita pubblica. Il fatto merita una riflessione. A Nazaret, secondo Luca l’episodio iniziò nella sinagoga e finì sul monte dove la gente lo condusse per precipitarlo giù (Lc 429). A Cafarnao, secondo Giovanni, l’episodio cominciò sul monte – dove Gesù moltiplicò il pane e i pesci – e si concluse nella sinagoga, dove alcuni discepoli lo abbandonarono e altri – con a capo Pietro – lo riconobbero come “il Santo di Dio”. La sinagoga e il monte, il monte e la sinagoga. Il mistero eucaristico richiama di per sé queste due realtà: la sinagoga come immagine della Chiesa che fa l’eucaristia (e dell’eucaristia che fala chiesa); il monte come apice del mistero e sublimità dell’amore che si dona fino all’ultima briciola. La prima vicenda, infine, avviene quasi all’inizio dell’attività pubblica di Gesù; la seconda avviene “in prossimità della pasqua”, cioè verso la fine del triennio, quando Gesù “sapeva quello che stava per fare”: stava per istituire il mistero dell’eucaristia.