Vangelo

Tutti mangiarono a sazietà.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 9,11b-17

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Parola del Signore.

Gesù disse una frase che raramente viene citata: sul mio corpo, disse,  “Dio ha posto il suo sigillo” (Gv 6,27). Il sigillo veniva posto su qualche oggetto per significarne l’appartenenza al possessore del sigillo. Quindi, il sigillo di Dio sul corpo di Gesù significa l’appartenenza del corpo di Gesù a Dio; era corpo di Dio.

La frase surriferita fu pronunziata da Gesù nel primo discorso eucaristico, quando disse: “La mia carne è veramente cibo e il mio sangue è veramente bevanda”.

Con questa frase Gesù intese rispondere a coloro che chiedevano: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”. Il corpo di Gesù non era come il corpo di qualunque altro uomo, ma era il corpo di Dio: portava la firma o immagine del Padre che è Dio, per cui “chi vede me vede il Padre”,  disse Gesù.

Il corpo di Gesù è commestibile. Chi non mangia muore; chi non mangia l’eucaristia non ha la vita spirituale ed eterna.

Tutte queste cose, Gesù le disse dopo aver dimostrato il suo potere di moltiplicare i pani e i pesci, simbolo dell’istituzione eucaristica.

Non una sola volta Gesù si trovò con gli apostoli e con una grande folla in zona desertica, di sera, senza luoghi di rifugio e senza possibilità di rifocillarsi. Né fu una sola volta che Gesù risolse il problema più importante, quello del cibo. Stando un giorno in barca coi suoi discepoli, Gesù domandò: “quando ho spezzato i cinque pani per i 5 mila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?; risposero Dodici. “E quando ho spezzato i sette pani per i 4 mila, quante sporte piene di pezzi avete portato via”. Gli risposero “Sette” (Mc 8, 19s.)

Gesù fece queste domande agli apostoli per insegnare che non vale la pena di preoccuparsi della mancanza del pane, perché c’è Lui che ci pensa:  “Non vi preoccupate per la vostre vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?” (Mt 6,25).

Gesù concluse dicendo: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,33).

Con queste parole Gesù non intese favorire la nostra pigrizia. Il lavoro resta il mezzo ordinario con cui dobbiamo procurarci cibo e vestiti.

Gesù vuole inculcarci la fiducia in Dio, dal quale dipende tutto, anche la forza per lavorare. Quando avremo fatto tutto ciò che è nostro dovere, abbiamo la certezza che Dio interverrà, se davvero abbiamo fiducia in Lui.

Quando la folla, seguendo Gesù, mostrò di aver avuto fame della sua parola, dimenticandosi del cibo materiale, Gesù fece il miracolo della moltiplicazione del pane per  migliaia di persone.

Questi miracoli non meravigliarono le folle, che subito si ricordarono dello stesso miracolo operato da Dio, al tempo di Mosè, facendo cadere la manna dal cielo. Quelle folle non avevano l’idea che Gesù, figlio di quello stesso Dio di Mosè, aveva il potere di fare molto di più per loro. Fu Gesù ad aprire le loro menti in questo senso, dicendo che Egli poteva dare loro non solo la manna mosaica e non solo poteva moltiplicare il pane che perisce, ma poteva dare loro un altro cibo che toglie per sempre la fame e dona persino un’altra vita, non temporanea ma eterna. E tale cibo era la sua stessa carne e il suo stesso sangue.

Gesù esortò quella folla, ed esorta noi oggi a non cercare il “cibo che perisce”, ma quello che dona la vita eterna, senza farci domande inutili su “come” Egli potrà darci la sua carne da mangiare, poiché “nulla è impossibile a Dio”. Come generò la carne e il sangue del suo corpo nel grembo di Maria, e come moltiplicò i pani e i pesci, così può darci il suo corpo da mangiare. Il “come” non deve interessarci, e tanto meno indurci a ritenere Gesù un pazzo che proferisce parole inaccettabili, ma ritenere Gesù “il Santo di Dio” che proferisce parole di vita eterna; Lui solo….!

Gesù mantenne la promessa, poiché nella notte in cui fu tradito, prese il pane e lo mutò nel suo corpo, prese il vino e lo mutò nel suo sangue, e li diede da mangiare e da bere ai suoi apostoli, ai quali aveva lavato i piedi, essendo già puri in forza della sua parola.

Quello che interessa a noi che viviamo duemila anni dopo di questo straordinario avvenimento, è che Gesù ordinò ai suoi apostoli di ripetere all’infinito quello stesso miracolo, non solo per “ricordare” ma anche per “imitare” Lui nel suo sacrificio, poiché non c’è amore più grande di questo: “dare la vita per i propri amici”.

P. Fiorenzo Mastroianni

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