Gv 15, 1-8
Chi rimane in me ed io in lui fa molto frutto.

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Gesù traeva dalla natura le immagini utili ai suoi insegnamenti. Alcune immagini contenevano insegnamenti facili e intuitivi, come quella del seminatore; altre erano meno ovvie, come quella della vite e dei tralci di cui Gesù ci parla oggi. Non è facile, anzi è difficile capire le parole “Io sono la vite, voi i tralci”. Se queste parole le avesse dette Adamo, sarebbero state ovvie. Ma in che senso poté dirle Gesù, nato 2000 anni fa? Lui, come Verbo, esisteva prima di Adamo, e tutto fu creato per mezzo di Lui, che, essendo l’autore della vita, immise in alcuni esseri – piante, animali, uomini – l’élan vitale, cioè la spinta vitale. Il panteismo non c’entra! E fu per questo che san Francesco chiamava fratelli e sorelle tutte le cose. Ma le parole suddette, pronunziate da Gesù davanti ai suoi discepoli, avevano un senso più ristretto, in quanto si riferivano ai suoi rapporti coi soli uomini, e ancora più specificamente ai rapporti spirituali con loro. Mentre l’élan vitale si trasmette da uomo a uomo in modo naturale, la vita spirituale si acquisisce con una libera scelta individuale di innestarsi in lui come ramoscello sul tronco, attraverso il battesimo. Da questo innesto vengono alcune conseguenze: la prima è che, col battesimo, diventiamo una sola cosa con Gesù, quasi una sola persona – “Unus”, scrisse san Paolo. E questo ci fa capire perché, apparendo a Paolo sulla via di Damasco, Gesù poté dirgli: “Perché mi perseguiti?”; e, alla fine del mondo, Gesù dirà agli eletti: “Tutto quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a me”. L’immagine della vite e dei tralci ci fa capire che queste due espressioni vanno prese alla lettera, e non equivalgono a “come se l’avveste fatto a me”. Cioè, se io faccio del bene o del male a una persona umana – ad esempio do uno schiaffo o offro un bicchiere di acqua – li do letteralmente a Gesù, che realmente vive in quella persona, ed è in qualche modo quella stessa persona. Dicendo “Io sono la vite, voi i tralci”, Gesù rivela che c’è una unione vitale tra Lui e noi. Non certo a livello fisico ma mistico, cioè spirituale, e tuttavia reale, cioè vera, tanto che san Paolo esclamava: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”. E Gesù disse: “Senza di me non potete fare nulla”. Tutto questo ci fa riflettere sulla nostra dignità di essere carne di Dio, e ci spiega perché dobbiamo amarci tra noi. Purtroppo, però, esiste la possibilità di interrompere volontariamente il flusso vitale tra il tronco e il ramo, tra Cristo e il singolo battezzato, attraverso il peccato mortale. Chi pecca, viene staccato dal tronco che è Gesù, e da quel momento è “morto della vera morte”, quella spirituale. Nell’Apocalisse, capitolo 3,1, all’Angelo della Chiesa di Sardi disse Gesù: “ti si crede vivo e invece sei morto”; e al versetto 2 gli dice: “Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire, perché non ho trovato le tue opere perfette davanti al mio Dio”. Dal momento del peccato mortale, l’uomo non produce pù frutti buoni agli occhi di Dio. Dio si aspetta da noi “molto frutto”, disse Gesù, cioè molte opere buone. Sono queste che rendono gloria a Dio. Ma la prima condizione è quella di “rimanere” in Cristo, con la fede e l’amore. Quando siamo in Cristo, finanche le opere indifferenti come camminare, mangiare, dormire, diventano “frutti” che rendono gloria a Dio. Nella parabola odierna Gesù non parla del peccato che stacca da lui, ma del distacco da lui che diventa peccato. Dice infatti Gesù: “Ogni tralcio che in me non porta frutto”, viene tagliato. Viene tagliato perché non porta frutto. A parte l’episodio del fico sterile, che in poche ore seccò perché maledetto da Gesù (Mc 11,12-23), in Luca 13,5-9 il padrone ordinò al vignaiolo di sradicare un albero che da tre anni non portava frutti. Tutto ciò significa che se un uomo non commette nessun peccato grave, e però non fa opere di bene, è morto agli occhi di Dio. Non è solo il “peccato commesso”, ma anche “il bene non fatto”, cioè i peccati di omissione, che ci staccano da Dio. Infine, Gesù ci dà un altro insegnamento. Gesù si rivolge in modo speciale a coloro che si dedicano al bene e tuttavia si sentono puniti da Dio attraverso le sofferenze. Gesù spiega che in tal caso non si tratta di punizione di Dio ma di un’altra cosa. Gesù disse: “ogni tralcio che porta frutto (Dio) lo pota perché porti più frutto”. Cosa vuol dire “potare”? “Il Padre mio – disse Gesù – è il vignaiolo; e , ogni tralcio che porta frutto lo pota”. «Le mani di Dio – scrisse Dietrich Bonhoeffer – sono mani ora di grazia ora di dolore, ma sono sempre mani di amore». Qualcuno ha scritto che “potare” significa “tagliare”, “essere feriti”, “perdere qualcosa di noi o delle cose nostre”. In pratica significa dolori fisici o psichici, incomprensioni, contraddizioni, insulti, disprezzi. Specialmente quando sono meritati, è un’ottima occasione per correggersi e perfezionarsi. Bisogna accettare le potature come grazia e come dono; infatti san Pietro scrive: “E’ una grazia di Dio soffrire ingiustamente” (Pt 1,19). Ogni forma di sport consiste nel superare gli ostacoli: i serfisti si servono delle onde alte per vincerle, e gli uccelli si servono delle correnti per volare più alto. E’ vero che istintivamente siamo tentati di allontanare il calice delle sofferenze, come fece persino Gesù, che però finì con l’accettare quella morte che gli permise di attirare a sé tutto il mondo e, morendo come il chicco di grano, produrre la salvezza di tutti gli uomini.
P. Fiorenzo Mastroianni

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