Giovanni 6,51-58
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:” 51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». 52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno.
Littera gesta docet: la lettera insegna i fatti. Quid credas allegoria: l’allegoria cosa credere. Moralis quid agas: la morale cosa fare. Quo tendas anagogia: l’anagogia indica la meta.
LETTERA (Luca 9,11-17): i dodici apostoli sono inviati da Gesù a predicare di villaggio in villaggio, annunciando il regno di Dio e curando gli infermi. Gesù aveva raccomandato di non portare con sé neanche il pane, perché Dio stesso avrebbe provveduto, come provvede per gli uccelli del cielo e per i gigli dei campi. Del resto, ogni operaio è degno della sua mercede. Dopo aver fatto l’esperienza dell’evangelizzazione e della divina provvidenza, gli apostoli tornano da Gesù per raccontargli tutto. Hanno appena il tempo di fargli un piccolo resoconto, quando sono investiti da una marea di oltre cinquemila persone, affamate di Dio. Durante tutta la giornata Gesù nutre quelle anime con l’annuncio della parola, e cura i corpi degli infermi. Mentre il giorno volge al declino, i dodici esortano Gesù a licenziare la gente, ormai stanca e affamata. Essi che avevano da poco esperimentato la divina provvidenza, e avevano operato miracoli nel nome di Gesù, non pensano che essi possono persino moltiplicare i pani e i pesci nel nome di Gesù, e perciò non capiscono quando Gesù dice: “Date loro voi stessi (umèis) da mangiare”. Il loro istinto li porta a contare i soldi che hanno nella borsa, assolutamente insufficienti. Gesù, constatata la loro insensatezza e la loro povertà, interviene di persona: si fa consegnare cinque pani e due pesci – l’unico capitale a disposizione – e con essi sfama “a sazietà” (éfagon kai echortàsthesan) tutta la folla, fino a farne superare dodici ceste.
ALLEGORIA: Luca riferisce 5 verbi che sono reali ma anche allegorici: Gesù 1) “guardò verso il cielo”, 2) “benedisse” il pane e i pesci, 3) li “spezzò”, 4) li “distribuì” ai discepoli, 5) perché li “ponessero avanti” alla gente. Questi gesti “storici” erano un’allegoria di ciò che Gesù ripeterà nell’ultima cena, quando istituirà l’Eucaristia. E quei gesti dell’ultima cena divennero allegoria di ciò che gli apostoli e poi tutti i sacerdoti fino alla fine del mondo avrebbero fatto per ordine di Gesù: “fate questo in memoria di me”.
MORALE: i 5 verbi suddetti hanno anche carattere morale, nel senso che sono da imitare non solo dai sacerdoti nella celebrazione della messa, ma da ogni cristiano che voglia essere “sacerdote” in tutti i momenti della propria vita, specie nelle difficoltà: guardare, cioè avere la mente rivolta al cielo, benedire ogni cosa, ma specialmente il cibo che dà la vita, spezzare o dividere ciò che abbiamo per “porlo davanti” (para-thèinai) a tutti coloro che ne hanno bisogno. Ogni cristiano è sacerdote e può e deve fare sempre questi gesti; ma la cosa migliore è far passare tutto ciò che è possibile per le mani dei sacerdoti “ordinati” o “ministri”, così come fece Gesù (edìdou tois mathetàis).
ANAGOGIA: anagogia significa “guardare in alto” (ana-blèpo), da dove viene la nostra vita, e dove ritorneremo dopo esserci “saziati” della vita – carne e sangue – di Cristo.
P. Fiorenzo Mastroianni, OFMCappuccino