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Vincenzo nacque in un remoto villaggio delle Lande, nelle vicinanze di Dax, nel 1581. I genitori lo orientarono allo stato ecclesiastico, che costituiva l’unica possibilità di promozione sociale per le classi inferiori. Studiò pertanto presso i francescani di Dax (1595) e fu precettore dei figli del giudice di Pouy, Comet. Nel 1597 iniziò i corsi presso l’università di Tolosa. Fu ordinato sacerdote dal vescovo di Périgueux, il 23 settembre 1600. Aveva solo 19 anni. Da buon guascone, si dette da fare per conseguire una sistemazione vantaggiosa. Fu a Roma (1600), poi compì altri viaggi. In uno di questi, durante il tragitto in mare tra Marsiglia e Narbona, sarebbe avvenuto l’episodio della cattura da parte di una nave corsara, cui avrebbe fatto seguito un biennio di prigionia a Tunisi, che si sarebbe concluso con la fuga di Vincenzo accompagnato dal suo padrone, un cristiano rinnegato. Alcuni storici misero in dubbio la veridicità delle affermazioni del santo, mentre altri trovarono nelle parole di Vincenzo la prova che fin da giovane avesse già un elevato grado di santità. I difensori della tesi dell’attendibilità del racconto partono dal presupposto che in Vincenzo non ci sia stata un’evoluzione molto profonda o una “conversione”, mentre personalmente ritengo non si possa dubitare che nel santo ci sia stata una vera e propria “conversione”. Essa avvenne fra il 1608 e il 1617 e fu progressiva.

Arrivato a Parigi nel 1608, ottenne la carica di elemosiniere della regina Margherita di Valois e alcuni benefici. Determinante per lui però fu l’incontro con Pierre de Bérulle, che introdusse Vincenzo nei circoli della riforma della Chiesa di Francia. La scelta di nuovi valori operata da Vincenzo si rivela in occasione di una falsa accusa di furto da cui non volle difendersi e nell’aver accolto le confidenze di un teologo provato nella fede. Cominciò a pregare più intensamente, riscoprì il senso del sacerdozio e dell’eucaristia. Il sacerdozio lo aveva considerato finora come un’opportunità di promozione umana. Si diceva che “nessun prete muore mai di fame”. L’eucarestia era un rito che portava bene. Capì invece che il prete è un uomo mangiato e che nell’eucarestia il prete è sacerdote e vittima.

La fondazione da parte di Bérulle dell’Oratorio (1611), non colse impreparato Vincenzo, che non scelse di seguire il suo maestro, e preferì dedicarsi alla vita pastorale nella parrocchia di Clichy alla periferia di Parigi. Il demone della carriera lo aveva abbandonato. Respirò la dolcezza della cura pastorale e la poesia della stanchezza di una giornata spesa per gli altri. Nel 1613, sempre per consiglio di Bérulle, Vincenzo lasciò la parrocchia nelle mani di un vicario, per assumere la funzione di cappellano della famiglia di Filippo Emanuele de Gondi, generale delle galere di Francia. Un giorno s’inginocchiò davanti a Gondi che voleva fare un duello. L’inattività nell’ambiente aristocratico costò molto a Vincenzo. Ebbe un periodo di dure prove interiori sulla fede, da cui uscì solo nel 1617. In quell’anno, in uno dei viaggi nei possedimenti dei Gondi, ebbe la rivelazione dell’abbandono spirituale dei poveri trascurati da un clero ignorante e inefficiente. Un moribondo fu confessato da Vincenzo e confidò che senza la confessione generale, sarebbe andato all’inferno. L’episodio indusse Vincenzo, a una predica tenuta nella chiesa di Folleville il giorno della conversione di san Paolo, il 25 gennaio del 1617, per invitare la popolazione alla confessione generale. Fu la sua prima “missione”.

Frattanto Vincenzo sottopose a Bérulle i dubbi sulla permanenza in un ambiente così sicuro e asettico. Le aspirazioni di Vincenzo per un ritorno all’esperienza pastorale furono approvate dal suo direttore spirituale che segnalò a Vincenzo la parrocchia di Châtillon-les-Dombes, nei pressi di Lione. Il 20 agosto 1617 il santo fu informato che tutti i componenti di una famiglia erano ammalati e non avevano nulla da mangiare. Salì allora sul pulpito della chiesa di Châtillon e fece un discorso travolgente. La popolazione prese a cuore la famiglia. Il santo allora capì che non bastava la solidarietà contadina, ma che si doveva fare qualcosa di nuovo.

Il 23 agosto 1617 Vincenzo fondò un’associazione laicale per assistere i poveri. Nascevano le Compagnie della Carità. Le pressioni dei Gondi su Bérulle indussero questi a far tornare Vincenzo a Parigi. Vincenzo ubbidì, ma, da questo momento, i rapporti fra i due subirono un evidente raffreddamento. In compenso, nel 1618, Vincenzo conobbe san Francesco di Sales e, l’anno dopo, santa Giovanna Francesca Frémyot de Chantal, che gli affidarono la direzione dei monasteri della Visitazione. Come consigliere al posto di Bérulle il santo scelse Andrea Duval e Giovanni Duvergier de Hauranne, abate di St-Cyran. Vincenzo in quegli anni raccolse attorno a sé un piccolo gruppo di sacerdoti che condividevano l’ideale di evangelizzare i poveri nelle missioni e in altre iniziative, come l’assistenza ai condannati alle galere (1619). Il 17 aprile 1625 i Gondi misero a disposizione di Vincenzo una somma di denaro, grazie alla quale egli poté “fondare” la Congregazione della Missione. La comunità venne approvata nel 1627 da Propaganda Fide come “missione”, cioè come un gruppo di lavoro apostolico senza alcuna caratteristica assimilabile a un istituto religioso. Successivi passi a Roma per ottenere uno status stabile vennero respinti. Nel 1633 Vincenzo si orientò coraggiosamente per un’ulteriore iniziativa. L’esperienza delle Compagnie della Carità, che si erano moltiplicate, l’aveva indotto a riflettere ed era pervenuto ad alcune importanti conclusioni, come la maggior disponibilità della donna alle iniziative per i poveri, la possibilità di coinvolgere anche il mondo dell’alta e media aristocrazia e la necessità di un impegno nella carità a tempo pieno. L’ultima conclusione indusse Vincenzo ad affiancare le dame a una comunità femminile, le Figlie delle Carità. In santa Luisa de Marillac (1591-1660) trovò una collaboratrice intelligente e preparata, in grado di interpretare gli orientamenti dell’intuizione vincenziana. Si rompevano pertanto gli schemi che escludevano le religiose dall’apostolato diretto e si abbattevano le barriere sociali che riservavano la carità alle persone “di condizione”.

Bremond ha perciò scritto che “non è stato l’amore degli uomini che l’ha condotto alla santità, ma la santità che l’ha reso veramente ed efficacemente caritatevole”. Di qui, coincidenza fra preghiera e azione. La preghiera è esercizio della volontà divina, annuncio ed evangelizzazione, è momento unificante di tutta la vita. Tutta la sua spiritualità si fonda su due scoperte: Cristo e i poveri. Cristo è il missionario dei poveri; la Chiesa è attualizzazione di questa missione. Logica conclusione di questi approfondimenti cristologici ed ecclesiologici è una conseguenza “politica”, la riaffermazione della necessità di un impegno nel mondo e per il mondo nella duplice valenza di evangelizzazione e promozione umana. Conseguentemente nacque nel Santo il bisogno di un intervento nelle strutture per animarle cristianamente e nella costituzione di comunità profetiche capaci di reintegrare la vita religiosa nel mondo e di proclamare la salvezza spirituale e temporale per gli ultimi: “Non mi basta amare Dio se il mio prossimo non lo ama”.

Non possiamo dimenticare che l’istituto delle Figlie della Carità divenne il modello di un gran numero di comunità femminili di servizio. Fanno parte dell’ispirazione vincenziana le suore di s. Giovanna Antida Thouret, le Suore di Carità di Santa Maria, fondate da Luigia Angelica Clarac, le Suore di Carità dell’Immacolata Concezione, fondate da Antonia Maria Verna, le suore del padre Durando, quelle del beato Cottolengo, le Suore di Carità delle Sante Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa, le suore di Carità di Leavenworth, di san Giuseppe, di Baltimora, le suore di Carità di Innsbruck, e tutte le comunità nate per opera di santa Elisabetta Seton.

 

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