Oggi la Chiesa celebra la festa di Cristo Re dell’universo. Sapevamo che Cristo è Re, poiché lo disse apertamente al Governatore Ponzio Pilato. Sapevamo che ereditò il regno di Davide suo padre, come disse l’Arcangelo Gabriele a Maria, anche se Gesù disse: “il mio regno non è di questo mondo”, e gli ebrei lo rigettarono come loro re. Oggi la Chiesa allarga all’infinito il senso della regalità di Gesù, dicendo che Egli è Re dell’universo, secondo le parole di Gesù ai suoi discepoli: “E’ stato dato a me ogni potere in cielo e in terra”. Se ci chiediamo il motivo per cui Gesù è Re, dobbiamo distinguere il potere “che già aveva” dal potere che “gli fu dato”. Gesù è Re per diritto di natura, essendo figlio di Dio ed essendo l’architetto dell’universo, poiché “per mezzo di lui fu fatto tutto ciò che esiste”. Ma se Gesù, dopo la risurrezione, disse ai suoi discepoli: “E’ stato dato a me ogni potere in cielo e in terra”, è perché Egli fu il più perfetto servitore di Dio – infatti “servire Deo regnare est” – e perché fu il più perfetto servitore degli uomini, non solo in terra ma anche in cielo. Disse infatti: “Voi mi chiamate Signore e dite bene perché lo sono, eppure sto in mezzo a voi come uno che serve”; e aggiunse che nel regno dei cieli egli si cingerà e passerà a servire gli eletti. Ciò che interessa noi più direttamente, però, non è il fatto che Gesù è Re per diritto di “natura” o per diritto di “servizio”, ma che la regalità di Cristo è trasmissibile anche a noi. Che Lui sia Re, potremmo dire: “Beato Lui!”. Ma che Egli trasmetta tale regalità a noi, ci fa dire: “Beati noi che regneremo con Lui!”. A coloro che avranno servito Dio e i fratelli, infatti, Gesù dirà: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo”. Notiamo la parola “regno”. Regneremo!… A quali condizioni? Facendo le opere di Cristo. Quali opere? Finora Gesù ci ha parlato di olio, di talenti, di opere in genere, e ciascuno ha interpretato a suo piacimento il significato di questi termini. Oggi Gesù parla di una serie di opere concrete, che sono certamente la migliore interpretazione dei termini olio, talenti, opere. Gesù ci dice oggi che l’olio non serve a niente se non si usa per tenere accese le lampade; e i talenti non servono a niente se si sotterrano e non si trafficano. Cioè, non è importante l’olio né i talenti, ma il loro frutto, cioè le opere. Ma anche questo termine – opere – è alquanto vago, e Gesù scende al concreto: dar da mangiare, dar da bere, vestire, servire… Ora non abbiamo più scuse. Ora abbiamo capito cosa significa fare la volontà del Signore: è fare qualcosa per gli altri, è mostrarsi altruisti, sempre. Certamente noi ci domandiamo se non siano più importanti la fede e la preghiera. Circa la fede, Gesù stesso disse che è l’opera più importante. Quando gli chiesero cosa fare per compiere le “opere di Dio”, Gesù rispose: “una sola è l’opera di Dio, credere in colui che Dio ha mandato”. Ma poi – attraverso Giacomo – ci ha detto che la fede senza le opere è morta, è un’illusione. Circa la preghiera, Gesù disse a Marta che sua sorella Maria, mettendosi ai suoi pedi per amarlo, scelse la parte migliore. Ma poi ci ha detto: “Non chi dice Signore Signore, entrerà nel regno del Padre, ma chi fa la volontà del Padre mio”. Gesù ci insegna dunque che la fede e la preghiera sono la cosa più importante, ma tuttavia chi non ha avuto la gioia della fede e fa le opere buone, si salva ugualmente. Pertanto, un buddista che non ha conosciuto Cristo, se fa il bene, si salva, perché Gesù disse: “Chi non è contro di me, è con me”. Chi invece ha fede perché ha conosciuto Cristo, ma è egoista è “maledetto” per sempre!. Maria, appena sentì di essere diventata la madre del Re e di essere diventata Regina, “subito” andò a servire Elisabetta, che era a molti chilometri di distanza. Purtroppo, questa lezione è difficile da capire! E ancora più difficile è vedere Gesù nei miseri e peccatori. Se ciò è impossibile per chi non ha fede, per noi che abbiamo fede deve essere una opportunità da cogliere. La parabola delle vergini e dei talenti e il vangelo odierno ci dicono che il peccato più grave agli occhi di Dio non è ciò che noi chiamiamo peccato – uccidere, rubare ecc. – ma il non fare il bene, l’ignavia, l’egoismo. Finora ci siamo preoccupati di evitare il male, e raramente ci confessiamo i peccati di omissione. Da ora in poi dobbiamo essere più pronti a operare il bene!